“Quando ottenni il risarcimento, un israeliano mi disse: “Allora, quanto le hanno dato?’- E io dissi che non aveva importanza, la parola risarcimento non aveva alcun significato per me, nessuna cifra sarebbe stata sufficiente. Ma lui me lo chiese di nuovo, insistendo per avere una risposta, così gli dissi la verità. Quattrocentomila dollari.
Fece una faccia strana. “Allora il conto è saldato,” disse. “Che cosa intende?’ dissi io, e lui: “No, lasci perdere”, io glielo chiesi di nuovo e di nuovo lui mi rispose: “Lasci perdere”. Mi sentì tremare nel più profondo del cuore. E così gli domandai, in ebraico, se avesse figli. Lui mi fissò e disse: “Sì, un maschio”. E io gli dissi che gli avrei dato quattrocentomila dollari , e lui tutto quello che doveva fare era consegnarmi suo figlio.”Perché? Ed io: “Così potrò ucciderlo e poi lasciar perdere”. Avreste dovuto vedere la sua faccia. “No” disse “quello che lei non capisce è che sua figlia è stata uccisa (…) per errore, in questo senso il conto è saldato, è stato un errore, lo abbiamo ammesso, c’è una certa differenza, quindi, vada oltre, lasci perdere, amico”.
Ed io: “D’accordo, le do quattrocentomila dollari, e ce ne metto sopra altri quattrocentomila, e poi ancora quattrocentomila, tanto per sicurezza, dopodiché farò in modo che suo figlio sia ucciso – e sarà solo per errore”. Sbiancò come un cencio. Era confuso. Si allontanò, poi dall’angolo della sala si girò a guardarmi. Credo che in quel momento dentro di lui cambiò qualcosa. Stava sbattendo le palpebre con molta forza. Alla fine sollevò in aria una mano e se ne andò” (McCann, Apeirogon)
E’ successo anche a me. Qualche anno fa. Quando arrivò la sentenza del tribunale con la quale avevo vinto una lunghissima battaglia giudiziaria legata ad un risarcimento del danno. Chiamai per telefono la Cliente e le dissi che avevamo vinto e di passare in studio. Le sussurrai: “Ora non sarà facile”.
Lei mi domandò: “Ma non abbiamo vinto”.
“Certo che abbiamo vinto, abbiamo vinto su tutta la linea, ma proprio per questo ora non sarà semplice”
Avevamo vinto eccome. La compagnia condanna oltre il massimale.
Quando arrivò in studio, capì subito che era arrabbiata. Molto arrabbiata. Ma soprattutto era spenta. Mi guardò fisso negli occhi e mi disse: “Come faceva a saperlo?”.
Le sorrisi.
Mi disse: “Sono contenta della sentenza ma quello che mi fa soffrire è che adesso possano dire: “Ora è chiuso. siamo pari. Abbiamo risarcito. E’ tutto finito”. Non può chiudersi così. Non siamo per nulla pari. Loro saranno sempre in debito con me. Mi hanno preso la mia gamba e mi hanno dato solo soldi”
Farò adesso come Bassam, il padre palestinese del romanzo di, offrirò all’assicurazione il risarcimento richiesto perché si assuma il danno causato dal proprio assicurato. Per far comprendere che quei soldi non sono un prezzo ma soltanto l’unico simulacro che l’Ordinamento prevede quale forma di riparazione.