Capograssi intuisce che il principio della responsabilità personale postula paradossalmente il riconoscimento della dignità del soggetto.
Non si tratta di una rigorosa affermazione sanzionatoria ma dell’amorevole comprensione dell’inevitabile modificazione dell’uomo, anche in negativo, del mondo dell’esperienza. Ed infatti afferma che: “le conseguenze dell’azione risalgano all’agente; ed in questo il principio di responsabilità è piuttosto un principio di pietà che di severità per l’agente, poiché si risolve in un giudizio dell’azione, tenendo fermo il principio fondamentale della essenziale limitatezza del soggetto, dell’a essenziale limitazione di quella sfera della realtà che il soggetto direttamente ha sotto la sua apprensione”.
A questo aspetto ne è legato inevitabilmente un altro: l’ambito riparatorio (si potrebbe dire risarcitorio) è conseguenza della comunione degli uomini. Ed infatti “ogni azione è in sé unione di vita con vita, che anche quando questa sua sostanza si nega e si trascura, questa unione si realizza malgrado tutto, ricadendo sull’agente il male e il danno dell’altra vita, comunicandosi all’agente la condizione dell’altra vita, cioè verificandosi sempre in definitiva l’unione che si era negata o ignorata”