Si parla spesso, ed in maniera errata, di medicina difensiva come conseguenza insostenibile (ovviamente solo da un punto di vista economico) della responsabilità medica.
Io proporrei la medicina narrativa come rimedio alla proliferazione inevitabile del contenzioso sanitario.
Rita Charon, propugnatrice di tale approccio personalistico, all’inizio del suo famoso libro (La medicina narrativa) afferma:
“Siamo diventati molto bravi a diagnosticare e curare le malattie. Sappiamo eliminare infezioni un tempo fatali, prevenire attacchi cardiaci, guarire leucemie infantili e trapiantare organi. Ma nonostante un progresso così impressionante, manca spesso la capacità umana di provare empatia per gli ammalati, di accompagnarli con onestà e coraggio verso la guarigione, nella lotta contro la cronicità o alla fine della vita. L’attenzione e la costanza sembrano ormai vittime di un sistema di mercato burocratizzato e attento soprattutto ai costi. I pazienti si lamentano di essere sballottati da uno specialista all’altro, da un protocollo all’altro e magari ricevono cure tecnicamente adeguate, ma sono abbandonati alla paura e alla sofferenza. Da sola la scienza non aiuta a confrontarsi con la perdita della salute e a dare un senso all’infermità e alla morte”.
Riflettiamoci.