«Abbiamo dovuto rinunciare al dolore». Queste le parole pronunciate da Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, nel corso di una trasmissione radiofonica condotta da Ilaria Sotis. È probabile che molti non abbiano inteso il senso di un’affermazione in apparenza tanto scandalosa e, in realtà, così profonda e vera. La ragione è semplice: siamo abituati, tutti, a vivere e a pensare il dolore come qualcosa di intimo, di rigorosamente riservato e di tragicamente esclusivo. Al punto che quando un dolore – tanto più se causato da un lutto – si fa pubblico, è come se ne risultasse compromesso, se non in qualche modo contaminato.
In altre parole, sentiamo che il dolore più autentico è quello raccolto nella sfera più riposta di ciascuno. Ed è proprio così, almeno nella stragrande maggioranza dei casi. Ma quella rinuncia al dolore di cui ha detto Ilaria Cucchi significa, a ben vedere, l’esatto contrario di ciò che nell’immediato vien fatto di pensare. Qui “rinuncia” significa sottrazione al sentimento di consolazione che una sofferenza interamente vissuta in ambito familiare e domestico, tutta circoscritta all’interno delle relazioni più prossime e consuete, può consentire o almeno promettere.
Questa dimensione – nel caso della famiglia Cucchi e di molte altre – non viene cancellata, ma viene come sospesa e incrinata da una dimensione diversa, tutta esterna, che sembra negare la prima, o comunque denudarla mentre la espone e deformarla mentre la proietta nella sfera pubblica. Sta qui la radice di ciò che i nemici giurati e gli ipocriti per bene definiscono sprezzantemente esibizionismo del dolore.
Mentre è, piuttosto, rinuncia a viverlo riservatamente in nome di una idea pubblica di giustizia. È quanto rende una sofferenza privata la necessaria premessa di una virtù civile e di un sentimento collettivo. Il lutto individuale viene parzialmente sanato dal tempo e dalla solidarietà dei sopravvissuti (in primo luogo i familiari stessi). Ma se quello stesso lutto viene vissuto come una ferita inferta al corpo sociale, solo la giustizia come esclusiva prerogativa dello Stato può offrire riparazione e risarcimento. La giustizia da rivendicare e da esigere, anche quando non la si ottiene o quando il solo avvicinarsi a essa risulta una impresa disperante …. (Luigi Manconi, in Lettera 99)