Il grande semiologo Roland Barthes, autore dell’indimenticabile Frammenti di un discorso amoroso, scrive il diario di un lutto (“Dove lei non è, Einaudi”), quello causato dalla morte dell’amatissima madre. Annota ordinariamente, nelle prime pagine, la definizione che il dizionario Larousse dà appunto del lutto (“diciotto mesi per il lutto di un padre, di una madre“) . Definizione di cui svela poi la totale falsità affermando: “si dice: il Tempo calma il lutto – No, il Tempo non fa passare niente, fa passare soltanto l’emotività del lutto”. Il lutto è lì, immobile, conficcato nella vita di chi sopravvive. “il lutto non si consuma, non è sottomesso all’usura, al tempo. Caotico, erratico: momenti (di tristezza/d’amore della vita) tanto freschi ora quanto il primo giorno”
I momenti della sofferenza sono lucidamente sgranati come un rosario doloroso. Barthes afferma, riecheggiando il celebre passaggio della seconda epistola di San Paolo agli Efesini, che “come l’amore, il lutto colpisce il mondo, la mondanità, d’irrealtà, d’importunità. Io resisto al mondo, soffro di ciò che mi domanda, della sua domanda. Il mondo accresce la mia tristezza, la mia aridità, il mio sgomento, la mia irritazione, ecc. Il mondo mi opprime”
Di fronte alle diverse tabelle della quantificazione del danno, come reagirebbe oggi il grande intellettuale che nel suo diario appuntava: “Tutti calcolano -lo sento- il grado di intensità di un lutto. Eppure è impossibile (segni derisori, contraddittori) misurare davvero quanto si raggiunge”