La responsabilità, per danni da cosa in custodia, è proprio una storia infinita. Quando pare di essere arrivati all’epilogo ecco che magicamente si aggiunge un nuovo capitolo.
La Corte di Cassazione era recentemente giunta a precisare giustamente che, per escludere il nesso causale fra la cosa e il danno, non fosse sufficiente la condotta colposa del danneggiato, richiedendosi invece che la stessa fosse anche connotata di oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed inevitabilità, tali da determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile. Ne conseguiva che la condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima, priva di tali ulteriori caratteristiche, fosse rilevante esclusivamente ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1227, comma 1, c.c..
Traguardo finale raggiunto nella lunga querelle? Neanche per sogno.
La Corte, con sentenza n. 16199 dell’8 giugno 2023, precisa che la condotta colposa del terzo o del danneggiato non costituisce propriamente un caso fortuito (designando questo il fatto naturale che interviene a monte del processo causale incidendo sulla res) ma deve intendersi quale fatto umano, connotato da colpa, che si pone come causa sopravvenuta (ex art. 41 c.p.), in relazione diretta con l’evento, in grado di relegare il nesso condizionalistico, pur sempre esistente tra res e l’evento, al rango di mera occasione.
L’art. 41 c.p. non chiarisce -rileva la Corte di Cassazione- quando si realizza la preponderanza della causa sopravvenuta idonea ad escludere l’imputazione oggettiva al fatto considerato, dando così adito al proliferare di varie teorie (causalità umana; causalità adeguata; teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento; scopo della norma violata; aumento del rischio). I giuda precisano di prediligere comunque il criterio della cosiddetta causalità adeguata o della regolarità causale, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione ex ante – del tutto atipici e inverosimili, e come tali non prevedibili né evitabili.
A fronte di ciò la Corte ha escluso la responsabilità di un Comune sardo che aveva tollerato il permanere di una vistosa e considerevole deformazione del manto di una propria strada, considerando che era giustificabile attendersi dall’utente una condotta dell’utente diversa ed in grado di evitare di danneggiarsi. Ed invero viene precisato che: “quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”
Ovviamente, nell’ambito dell’art. 2051, non è stata consentita alcuna valutazione sulla sussistenza della colpa (evidente) del custode, trattandosi di responsabilità oggettiva. Si arriva quindi alle conseguenze che una situazione di pericolo, creata per esclusiva colpa del custode (si ricorda che gli Enti pubblici sono obbligati per Legge al mantenimento della sicurezza delle strade) evapora di fronte ad una concausa (quella del danneggiato distratto) considerata addirittura esclusiva.
Ma se si fosse azionato, nella causa portata all’attenzione della Corte di Casssazione, anche l’art. 2043 c.c. il Comune cagliaritano sarebbe riuscita a farla franca? Se ne dubita.
L’ipotesi che un utente sia distratto e “cada nella buca” non costituisce infatti un’ipotesi imprevedibile, peraltro l’obbligo legale di mantenere la sicurezza della strada ha la finalità di evitare propri sinistri di questo genere. Se la Corte di Cassazione continua ad invocare, nell’ambito della responsabilità oggettiva, il principio di solidarietà, desumendolo dall’art. 2 della Costituzione, e ciò per censurare la condotta del danneggiato, forse che potrebbe trascurarlo allorquando giudica la colpa di un Comune, rimasto inerte nell’applicazione di un proprio obbligo istituzionale? Forse che la distrazione di un utente possa veramente considerarsi non prevedibile, quando sono migliaia e migliaia i sinistri di tale genere portati all’attenzione delle corti territoriali?
E la storia ovviamente continua…