Come acutamente ha rilevato lo psicanalista Jean Allouch (Erotique du deuil au temps de la morte sèche), il lutto non comporta una semplice elaborazione ma un vero sacrificio. Presuppone un doloroso abbandono, una mutilazione (in)volontaria con la quale il vivo deve accettare che il morto si porti una parte di lui nella tomba. E’ un’anticipazione della propria morte. “Pensare il lutto in termini di elaborazione porta a ritenere che gli oggetti del desiderio siano intercambiabili, che siano come i feticci indifferenti con cui, sostituendoli gli uni agli altri, l’individuo riempie il vuoto insopportabile che sia apre di fronte a lui” (Philippe Forest, Anche se avessi torto, pag. 89). Questo forse è corretto per la perdita amorosa, non certo per la morte.
Per questo il danno per la morte di un proprio congiunto non può mai avere una valenza temporanea ma permanente e come tale deve essere risarcito.