Il Tribunale di Genova, con un recentissimo provvedimento in una causa da noi patrocinata, ha ritenuto di aumentare il valore standard contenuto nella tabella di Milano, “per sofferenza soggettiva in relazione alla delicatezza soggettiva di uno dei distretti lesi (occhio)”. Il Giudice prende così implicitamente le distanza dall’orientamento giurisprudenziale in voga per il quale tutti gli aspetti peculiari, collegati alla patologia di cui soffre il danneggiato, sarebbero già ricompresi nei valori tabellari in quanto, chiunque soffre di quella lesione, è portatore anche di tutto quel corteo di limitazioni, rinunce, disabilità, per i quali si chiede la personalizzazione. Si tratta questo di ragionamento approssimativo e palesamente infondato. L’indicazione del valore dell’invalidità permanente riguarda infatti una serie indefinita di lesioni con storie mediche diversissime tra loro, così da non poter coprire per definizione tutti gli aspetti peculiari che caratterizzano e diversificano le situazioni di invalidità permanente, pure simile numericamente per valore di gravità.
Un esempio chiarirà quanto detto. La tetraplagia e la cecità assoluta bilaterale hanno una valutazione percentuale similare. Orbene: un cieco non dipende totalmente da terzi per ogni attività quotidiana come il tetraplegico; il cieco lavora a differenza del tetraplegico; il cieco ha rapporti sessuali come non ha il tetraplegico; il cieco urina e defeca autonomamente non così il tetraplegico; il cieco può compiere attività sportiva, non così il tetraplegico. Risulta evidente come sia assolutamente non paragonabile la diversità (in senso di: sofferenza, perdita di dignità, azzeramento dell’autonomia, annullamento di una serie di ambiti realizzativi costitutivi dell’individuo) tra un soggetto colpito da cecità ed uno da tetraplagia.
La differenza deve ripercuotersi anche nei rispettivi risarcimenti del danno non patrimoniale che, in assenza di personalizzazione, sarebbero invece simili.