Con l’espressione “elaborazione del lutto”, Freud, affermava la necessità della persona in lutto di investire la sua libido (il suo desiderio) in un nuovo oggetto, sostituto del vecchio. L’elaborazione del lutto consisterebbe dunque in un’opera di sostituzione (principio di intercambiabilità cardine di una nascente società dei consumi). Ecco la logica crudele cui dovrebbero sottoporsi i sopravvissuti alla morte di un proprio caro.
Ma è lo stesso Freud, di fronte alla morte della propria amata figlia Sophie, a considerare errata questa impostazione. Diviene cosciente che quel dolore, quel vuoto, forse si sarebbe potuto attenuare con il tempo, ma non sarebbe purtroppo mai sparito. In realtà non esistono rifugi in cui potersi riparare dalle sferzate della sofferenza, porti in cui rifugiarsi dai marosi del dolore: la morte di una figlia è irrimediabilmente qualcosa di inconcepibile. Così scrive in quel tempo al suo amico e collega Ludwig Binswanger:
“Il lutto acuto che causa una perdita del genere a un certo punto finisce, questo si sa. Ma si rimane inconsolabili, e non è possibile trovare un sostituto. In realtà nessun individuo può sostituirne un altro. E la morte acuisce l’impressione d’irrimediabile che una tale verità comporta”.