Ieri le sigle sindacali (Cgil, Cisl, Uil) hanno inviato una lettera al Presidente della Repubblica in ordine alla strage continua dei lavoratori, affermando:
“Le continue morti, l’incremento degli infortuni e di malattie professionali non sono numeri: ci consegnano la dura realtà di un Paese che non riesce a fare fino in fondo i conti con la cultura della prevenzione, con la garanzia della salute e della sicurezza in ogni luogo di lavoro.
Non si tratta solo di un problema culturale, c’è una logica di mercato spietata che considera la sicurezza un costo e non un investimento, incrementa sempre di più i ritmi di lavoro, la rapidità degli interventi, in uno scambio in cui il lavoro e la vita delle persone continuano ad essere l’agnello sacrificale“.
Credo che i sindacati non sbaglino quando individuano nella ricerca spasmodica dell’ottimazione dei profitti la reale radice della serie infinita degli infortuni sul lavoro. Fino a quando costerà di più la prevenzione che il risarcimento, la situazione non cambierà. La responsabilità civile ha proprio la funzione di riequilibrare le aste di tale bilancia: il costo di un sinistro (anche lieve, anche minore, anche secondario) previene gli eventuali successivi incidenti. E pare essere l’unica arma, dal momento che il controllo effettivo delle istituzioni è pressoché inesistente o comunque non significativo. Chiudere gli occhi, essere indulgenti (anche in sede giudiziale), trovare una qualche giustificazione, descrivere caricaturalmente il lavoratore, anche quello infortunato, come approfittatore, porta invece a confermare questa terribile teoria: prevenire i sinistri è sempre un costo che si può evitare, perché se poi si verifica un sinistro le strade per non pagare sono molte. Invertire questa rotta è indispensabile.