Nella tragedia Elettra di Sofocle, è evidente il tentativo del Coro di banalizzare la singolare esperienza del dolore della figlia per la morte del padre Agamenonne:
“Non a te sola fra i mortali, figlia mia, si è rilevato il dolore: ma in esso tu eccedi tra quanti nella casa ti stanno accanto e a cui sei congiunta per nascita e sangue: vedi come vivono Crisotemi e Ifianassa..”.
Ancora più energico il commento sarcastico della madre Clitennestra:
“Solo a te, o essere odioso, inviso agli dei, è morto il padre? Nessun altro fra gli uomini è in lutto?”
Pare volersi imporre -nel solco del sensato e del ragionevole- un assurdo procedimento di omologazione e di catalogazione della sofferenza. Inutilmente. E’ indubbio che Elettra soffre molto di più della sorella Crisotemi per la morte del padre. Emerge così la singolarità di ogni persona che reagisce altrettanto originalmente alla sofferenza, in modi del tutti atipici e non totalmente sovrapponibili.
Così Elettra, alla sorella Crisotemi che l’invita a desistere dai suoi pianti ed a godere della vita, come Lei gode, risponde ferma:
“Per te sia pure imbandita una sontuosa mensa e fluisca ricca di beni la vita: unico cibo sarà per me non dispiacere a me stessa. Dei tuoi privilegi non desidero aver parte….”.
Sarebbe quindi iniquo (per esempio nell’ambito risarcitorio) considerare dunque sempre uguale il danno sofferto pur da soggetti che hanno un identico titolo (per esempi tra fratelli o tra genitori). Elettra e Crisotami soffrono indubbiamente in maniera diversa. Ed in maniera diverse andrebbero risarcite. In questa eventualità vi è tutto lo scacco del metodo tabellare e della pretesa omologante.