La prova in tema di infezioni nosocomiali

In tema di infezioni nosocomiali, la Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 16900 emessa in data 13 giugno 2023, ha precisato che, non trattandosi di responsabilità oggettiva, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del debitore per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta dell’obbligato, mentre è onere di quest’ultimo provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione ai fini dell’affermazione della responsabilità della struttura sanitaria.

In ordine al profilo probatorio a carico del danneggiato, ai fini dell’affermazione di un valido nesso di causa, rileva:

a) il criterio temporale (e cioè il numero di giorni di manifestazione dell’infezione rispetto al ricovero);

b) il criterio topografico (l’insorgenza dell’infezione nel sito chirurgico interessato dall’intervento in assenza di patologie preesistenti e di cause sopravvenute eziologicamente rilevanti, da valutarsi secondo il criterio della cd. “probabilità prevalente”);

c) il criterio clinico (in ragione della specificità dell’infezione, l’indicazione le necessarie misure di prevenzione da adottare)

Spetta alla struttura sanitaria, al fine di liberarsi dalla responsabilità (e dall’obbligo risarcitorio) provare:

a) di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l’insorgenza di patologie infettive;

b) di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico;

Più in dettaglio, è stato precisato che – a fronte della prova presuntiva della relativa contrazione in ambito ospedaliero ed ai fini della dimostrazione di aver adottato, sul piano della prevenzione generale, tutte le misure utili alla prevenzione delle infezioni ospedaliere ed anche al fine di fornire al c.t.u. la documentazione necessaria – gli oneri probatori gravanti sulla struttura sanitaria devono, in linea generale, concentrarsi sui seguenti profili: a) l’indicazione dei protocolli relativi alla disinfezione, disinfestazione e sterilizzazione di ambienti e materiali; b) l’indicazione delle modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria; c) l’indicazione delle forme di smaltimento dei rifiuti solidi e dei liquami; d) le caratteristiche della mensa e degli strumenti di distribuzione di cibi e bevande; e) le modalità di preparazione, conservazione ed uso dei disinfettanti; f) la qualità dell’aria e degli impianti di condizionamento; g) l’attivazione di un sistema di sorveglianza e di notifica; h) l’indicazione dei criteri di controllo e di limitazione dell’accesso ai visitatori; i) le procedure di controllo degli infortuni e delle malattie del personale e le profilassi vaccinali; j) l’indicazione del rapporto numerico tra personale e degenti; k) la sorveglianza basata sui dati microbiologici di laboratorio; l) la redazione di un report da parte delle direzioni dei reparti da comunicare alle direzioni sanitarie al fine di monitorare i germi patogeni-sentinella; m) l’indicazione dell’orario della effettiva esecuzione delle attività di prevenzione del rischio.

La Corte però ha precisare che tali eventuali produzioni non devono avere solo un carattere generale ma devono essere declinate al caso specifico, ossia deve dimostrare che nello specifico si è proceduto effettivamente in tal modo e che non vi siano state omissioni o negligenze. Ed invero nelle richiamata sentenza si rileva che: “la struttura sanitaria ha bensì provato di aver predisposto protocolli per la prevenzione di infezioni correlate all’assistenza (I.C.A.) volti a evitare, per quanto possibile, tal sorta d’eventi, ma non anche di averli specificamente applicati nel caso concreto … La copiosa messe di documenti depositati dall’Azienda Sanitaria depongono indubbiamente per un risalente, costante e meritorio interessamento da parte di quell’amministrazione al problema delle c.d. Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA), e quindi di avere predisposto tutto quanto necessario per istruire il personale, dotarlo di quanto necessario e organizzare a tal fine la struttura. Nessun documento e nessuna prova riguardano però specificamente il ricovero della C. e quello conseguente del neonato, per cui nulla risulta provato in relazione all’applicazione pratica dei protocolli citati al caso specifico. Al di là delle cartelle cliniche di madre e neonato, che riguardano ovviamente il tipo di trattamenti sanitari applicati e non le precauzioni adottate dagli operatori che dovrebbero essere attestate altrimenti, non vi è nulla che dimostri in concreto le procedure adottate nel caso specifico per il trattamento del minore, dei pazienti a lui vicini e degli apparati. Se quindi deve condividersi la consulenza tecnica dei dottori M. e D. in merito all’assenza di profili di colpa medica nei confronti dei sanitari, nulla la stessa può dire in merito all’adempimento da parte dell’appellata del proprio obbligo di agire per evitare ogni infezione prevedibile e prevenibile“.

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Avvocato Massimo Palisi - Padova

Nato a Catanzaro in data 24 aprile 1969, consegue la maturità classica (voto 60/60) e la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Padova (voto 105/110). Viene eletto per il biennio 1992/94 Segretario Nazionale della Fuci (Federazione Universitaria Cattolici Italiani).

Avvocato dal 1999, Cassazionista dal 2016, svolge la propria attività a livello nazionale, operando nell’ambito del diritto sostanziale e processuale civile, con particolare elezione per le tematiche relative alla responsabilità civile (sia in ambito contrattuale che extracontrattuale), alla tutela della persona e dei consumatori in generale (e sotto il profilo risarcitorio in particolare), al diritto del lavoro, al diritto delle assicurazione. Svolge inoltre assistenza a favore delle vittime nell’ambito delle procedure penali.

Ha deciso di non essere fiduciario di alcuna compagnia di assicurazione e/o banche, per non intaccare la propria opera di tutela nei confronti dei danneggiati e dei consumatori.

Ha collaborato, nel primo decennio del 2000, con Cittadinanzattiva Onlus, risultando membro: a) del gruppo studio “Assicurazioni ” del CNCU, istituito presso il Ministero delle Attività Produttive; b) del collegio del Nord Italia dei conciliatori istituito presso il gruppo Banca Intesa, c) del gruppo di studio istituito presso l’ANIA per l’emanazione del nuovo Codice delle Assicurazioni. Ha svolto corsi seminariali in tema assicurativo a livello nazionale, promossi e patrocinati dal Ministero delle Attività Produttive.

È stato relatore in diversi convegni giuridici di carattere nazionale.

Avvocato Evenlina Piraino - Padova

Nata a Cosenza in data 29 settembre 1981, consegue il diploma di maturità al liceo scientifico (voto 100/100) e si laurea nel 2006, presso l’Università di Cosenza (UNICAL), in giurisprudenza (voto 108/110) discutendo una tesi nell’ambito del diritto del lavoro (“Il nuovo sistema di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: Decreto Legislativo n. 38/2000′) e del diritto assicurativo (“Il sistema assicurativo sociale in ambito europeo”).

È avvocato dal 2009; fa parte dello studio dal 2013. Si occupa prevalentemente di diritto civile, sostanziale e processuale, diritto del lavoro, diritto di famiglia, procedure stragiudiziali e di mediazione. Nell’ambito della materia di elezione dello studio legale, si interessa in particolare degli istituti di responsabilità civile speciale, di quello di natura professionale, oltre alla tutela degli animali e dell’ambiente, a vantaggio del quale svolge anche attività di volontariato sociale.

È attiva nell’ambito del diritto di famiglia e della tutela dei minori, nonché della tutela dei diritti della persona in generale, dei consumatori e della proprietà intellettuale.

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