La recente sentenza n. 3488 del 6 febbraio 2024 della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi su un incidente mortale verificatosi in Albania (quindi con applicazione del diritto albanese) consente un interessante indagine, in chiave comparativa, dei principi in tema di risarcimento del danno nel Paese delle Aquile.
La legge albanese, nella sua dimensione di “diritto vivente”, conosce la figura del danno non patrimoniale per la perdita di un congiunto e ne garantisce la risarcibilità in termini non dissimili dal diritto vivente italiano, che richiede, per l’appunto, una verifica in concreto della sussistenza di uno o di entrambi i profili di cui si compone l’unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, l’interiore sofferenza morale soggettiva (che nell’ambito albanese è oggetto di considerazione nel “danno morale”) e quella riflessa sul piano dinamico-relazionale (ciò che nel diritto del paese straniero trova manifestazione nel “danno esistenziale”), apprezzando la gravità ed effettiva entità del danno in forza dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi, anche se al di fuori di una configurazione formale, la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l’età delle parti ed ogni altra circostanza del caso.
Ed invero l’arte 625 del codice civile albanese distingue “tra i due gruppi dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo non aventi una natura patrimoniale tutelata … in caso di lesione: “il danno alla salute” (il diritto assoluto alla salute, nel senso biologico) e la lesione della “personalità” (l’insieme dei diritti assoluti della personalità)”. In quest’ultimo gruppo sono “incluse due figure del danno non patrimoniale, autonome l’una dall’altra, il danno morale e il danno esistenziale“.
In ordine al primo ambito si specifica che: “Il danno morale (pretium doloris ovvero pecunia doloris) è una manifestazione interiore, temporanea, della turbazione ingiusta (non iure pertubatio) dello stato d’animo dell’uomo, dolore e sofferenza d’animo ovvero stato di ansia e sforzo d’animo che deriva come conseguenza del fatto illecito. Chiunque subisce lesione, nella sfera della propria salute e personalità, dalle azioni o dalle omissioni illecite e colpose di un terzo, ha il diritto di chiedere anche il risarcimento del danno morale subito. Tale diritto, in qualità di danneggiato, riguarda individualmente (ius proprius) anche a ciascuno dei familiari stretti della persona che ha perso la vita oppure che è stata lesa nella propria salute dal fatto illecito, se viene provato il loro legame speciale familiare, sentimentale e di convivenza. Il danno morale subito dagli stessi parenti si ritiene una conseguenza, una derivazione immediata e diretta dello stesso fatto illecito“.
Il secondo aspetto è costituito dal danno esistenziale attinente alla lesione “dell’espressione e della realizzazione del danneggiato come persona, delle manifestazioni della sua personalità nel mondo esterno” così da scuotere “oggettivamente la sua vita quotidiana le sue attività consuetudinari, causando “un peggioramento della qualità della vita” e stravolgendo “l’equilibrio, della condotta e abitudini di vita, dei rapporti personali e familiari“. A causa di ciò “il danneggiato non può più svolgere determinate attività che caratterizzavano positivamente il suo essere” anche in prospettiva futura, costringendolo a “soluzioni nella vita, diverse da quelle desiderate a prevedibili oppure alla rinuncia di queste ultime a causa della verifica del fatto illecito. Il danno esistenziale, non avendo una natura semplicemente sensibile ed interiore, è oggettivamente provabile“.