Tra i vari motivi di impugnazione, il ricorrente si lamentava che il Giudice di merito avrebbe valutato le prove in un certo modo, piuttosto che nel modo da lui auspicato, censurando quel giudizio perché basato su “considerazioni personali“.
Pur avendo rigettando in maniera sintetica i precedenti motivi di ricorso, la Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. n.4274 del 16 febbraio 2024) si attarda su tale profilo in maniera particolare, rilevando che: “qualunque decisione giudiziaria è un’opinione. Un’opinione che deve essere motivata, ma un’opinione. Non servirà scomodare il de lingua latina di Varrone per ricordare che “sentenza” è lemma derivante dal verbo latino sentio, il quale ha il significato di “percepire, ritenere, credere, supporre“.
È una “opinione soggettiva” – ad esempio – quella con cui il giudice reputa “non grave” l’inadempimento, per i fini di cui all’art. 1455 c.c.; è una “opinione soggettiva” quella con cui il giudice reputa equa ex art. 1226 c.c.! una certa misura di risarcimento del danno; è una “opinione soggettiva” quella con cui il giudice reputa attendibile od inattendibile un testimone; è una “opinione soggettiva” quella con cui il giudice presume che il reo si asterrà dal commettere ulteriori reati, ex art. 164 c.p.
Allo stesso modo, sarà sempre in base ad una opinione soggettiva che il giudice di merito valuterà se – ad es. un testimone sia o non sia attendibile, se un documento sia o non sia autentico, se un indizio sia o non sia grave.
Al giudice di merito, pertanto, nella presente sede di legittimità, non potrà mai ascriversi, quale error in iudicando o in procedendo, di avere valutato le prove in base ad una “opinione soggettiva”, perché questo equivarrebbe ad addebitargli come errore quel che invece costituisce la quidditas della sua funzione.
Al giudice di merito si potrà addebitare nella presente sede soltanto di avere espresso una opinione immotivata o affetta dai soli vizi logici o giuridici obiettivamente riscontrabili riconosciuti tuttora ammissibili, nei soli limiti stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la già ricordata sentenza n. 8053 del 2014: e cioè non già quando la motivazione sia perfettibile, ma solo quando sia mancante del tutto, totalmente incomprensibile o insuperabilmente contraddittoria, a parte il caso della sua articolazione su premesse giuridiche fallaci“.