La Corte di Cassazione, nella recente sentenza n. 5922 del 5 marzo 2024, ricapitola in maniera particolarmente efficace i principi degli oneri probatori in ambito di responsabilità contrattuale sanitaria.
E’ noto infatti che grava sul paziente dimostrare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), l’esistenza del nesso causale, provando cioè che la condotta del professionista sia stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno lamentato, mentre è onere del medico (struttura) dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inadempimento (o l’inesatto adempimento) è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza, e dunque oggettivamente non imputabile all’agente.
Nel caso specifico, posto alla valutazione della Corte, il paziente aveva domandato l’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria per i danni derivatigli da un intervento (con manovra di anestesia spinale) che egli assumeva svolto in maniera errata, allegando che, in seguito all’erronea introduzione dell’ago nella cavità spinale, questo aveva subìto una deviazione, provocandogli dolore e non ottenendo il risultato anestetico, tanto che l’anestesista aveva dovuto estrarlo e riposizionarlo più in alto, non senza confessare il proprio errore all’infermiera che lo assisteva.
La Corte di Cassazione specifica i differenti compiti probatori in campo. Il paziente era onerato di introdurre mezzi di prova, anche di natura presuntiva, al fine di accertare il nesso di causalità materiale intercorrente tra l’allegata condotta del medico e l’evento dannoso, rappresentato dal documentato aggravamento della patologia degenerativa preesistente, esitato nella paralisi del nervo ascellare destro e dell’emidiaframma sinistro, diagnosticatagli circa due mesi dopo l’intervento chirurgico. Mentre non era onerato -come invece aveva erroneamente concluso la Corte di Appello- di provare la sua allegazione circa la condotta negligente ed imperita dell’anestesista, spettando invece all’Azienda convenuta, previa contestazione di tale allegazione, l’opposto onere di provare che, al contrario, la prestazione sanitaria era stata eseguita con la diligenza, la prudenza e la perizia richieste nel caso concreto, oppure che l’inadempimento (ovvero l’adempimento inesatto) fosse dipeso dall’impossibilità di eseguirla esattamente per causa non imputabile.
Si legge infatti nella sentenza: “la Corte d’appello, disattendendo completamente gli illustrati principi – e sulla base di una indebita confusione tra i due elementi del fatto di inadempimento e del nesso causale tra lo stesso e l’evento di danno – ha rigettato la domanda risarcitoria sul rilievo che egli non aveva fornito la prova (asseritamente raggiungibile attraverso la deduzione di appositi capitoli testimoniali e l’escussione su di essi dell’infermiera presente all’intervento) dell’allegata condotta imperita del medico anestesista e dell'”effettività” dello stress algico conseguentemente subito dal paziente“. Inoltre si afferma che: “la Corte territoriale, lungi dal sanzionare legittimamente l’inosservanza dell’onere probatorio del paziente di provare il nesso causale, lo ha – illegittimamente – ritenuto gravato del distinto e ulteriore onere di provare l’inadempimento della struttura sanitaria, omettendo di considerare che non spettava all’attore-appellato dimostrare l’allegato errore del medico, ma spettava alla convenuta-appellante dimostrarne l’esatto adempimento, provando, in ossequio al parametro della diligenza qualificata di cui all’art. 1176 c.c., che la manovra anestesiologica era stata eseguita in modo corretto, nel pieno rispetto delle regole tecniche proprie della professione esercitata“.
Da ultimo la Corte di Cassazione rileva che la carenza di annotazioni nella cartella clinica, in ordine alla manovra anestesiologica, addirittura era “indebitamente valutata in danno del paziente, in spregio al contrario principio per cui essa, a determinate condizioni, costituisce piuttosto un elemento utilizzabile in funzione del positivo apprezzamento dell’esistenza di un valido nesso causale tra il danno da lui subìto e l’operato del medico“.