Con la sentenza n. 8698 del 2 aprile 2024, la Corte di Cassazione ha precisato la portata probatoria del verbale della Commissione medica.
Da una parte chiarisce che: “nel giudizio risarcitorio promosso nei confronti del Ministero della Salute per i danni derivanti dalla trasfusione di sangue infetto, il verbale redatto dalla Commissione medica, di cui all’art. 4 della Legge n. 210 del 1992, non ha valore confessorio e, al pari di ogni altro atto redatto da pubblico ufficiale, fa prova ex art. 2700 cc.c. dei fatti che la Commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le diagnosi, le manifestazioni di scienza o di opinione costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice che, pertanto, può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può attribuire allo stesso il valore di prova legale“;
Tuttavia precisa poi che: “il provvedimento amministrativo di riconoscimento del diritto all’indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992, pur non integrando una confessione stragiudiziale, costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale, sicché il Ministero, per contrastarne l’efficacia, è tenuto ad allegare specifici elementi fattuali, non potuti apprezzare in sede di liquidazione dell’indennizzo, o sopravvenute acquisizioni della scienza medica, idonei a privare la prova presuntiva offerta dal danneggiato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che la caratterizzano“.