Dopo la proclamazione dell’armistizio del 1943, circa 600 mila soldati italiani vennero internati nei campi di prigionia tedeschi, avendo rifiutato di combattere a fianco della Germania nazista. Tra di questi vi era anche Ce.Du. I suoi eredi convenivano nel 2006 la Repubblica Federale di Germania per la condanna al risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, indicati come subiti a séguito della cattura ad opera dei militari tedeschi e conseguente deportazione nei “lager” , dov’era stato costretto a lavori forzati in condizione di schiavitù tra il 1943 e il 1945.
La Corte di Cassazione (sentenza 9 febbraio 2024 n.3642) cui approda la vicenda ricostruisce in maniera analitica la questione per quanto riguarda la giurisdizione e la prescrizione.
Prima di lasciare la parola alla stessa decisione, vale la pena rilevare come in tale excursus viene richiamata la sentenza n. 238/14 della Corte Costituzionale che ha affermato, in maniera perentoria, come nessuna previsione di immunità degli Stati potrà essere riconosciuta legittima se si pone in contratto con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale, come il diritto al giudice (art. 24) o la tutela di diritti fondamentali della persona (art. 2), entrambi sintetizzati nel diritto fondamentale alla dignità umana, che opera quale “controlimite” all’ingresso delle norme di ogni altro ordinamento. E’ stata riaffermata la giurisdizione dello Stato per le azioni di accertamento e condanna promosse in sede cognitiva nei confronti di Stati esteri, e nello specifico della RFG, rispetto ad atti annoverabili nell’ambito dei crimini contro l’umanità, costituenti “delicta iure imperii” piuttosto che “acta iure imperii”. E’ anche questo è un buon atto di resistenza. Buon 25 aprile.
Di seguito la parte motiva della sentenza della Corte di Cassazione:
“La Corte costituzionale italiana, con sentenza 21 luglio 2023, n. 159, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 3, del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 giugno 2022, n. 79 – sollevate in riferimento agli artt. 2,3,24 e 111 della Costituzione – con cui è stato previsto, a fronte dell’istituzione del Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945, che le procedure esecutive fondate su titoli aventi ad oggetto la liquidazione dei relativi danni non possono essere iniziate o proseguite e i giudizi di esecuzione eventualmente promossi sono estinti;
nell’affermare la legittimità di un bilanciamento volto a segnare un punto di equilibrio non irragionevole nella vicenda degli indennizzi e dei risarcimenti dei danni da crimini di guerra, la Consulta ha ricostruito quest’ultima osservando come al tempo degli Accordi tra la Repubblica Italiana e la RFG conclusi a Bonn il 2 giugno 1961 – concernenti, l’uno, il regolamento di alcune questioni di carattere patrimoniale, economico e finanziario, e l’altro, gli indennizzi a favore dei cittadini italiani che erano stati colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste, con esecuzione e ratifica contenute rispettivamente nel D.P.R. n. 1263 del 1962 e nella L. 6 febbraio 1963, n. 404, di cui la Corte di appello ha nel caso escluso l’applicabilità (pag. 7) – si riteneva che “il principio dell’immunità ristretta degli Stati, col fatto di negare la giurisdizione del giudice nazionale, schermasse ogni pretesa risarcitoria individuale, ulteriore rispetto ai suddetti benefici, come del resto, con riferimento specifico al risarcimento del danno da crimini di guerra commessi dal Terzo Reich, affermerà la Corte Internazionale di Giustizia nella più volte citata sentenza del 3 febbraio 2012. Questo, per lungo tempo, è stato anche l’orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione (ex plurimis, sezioni unite civili, ordinanza 5 giugno 2002, n. 8157), secondo cui gli atti compiuti dallo Stato nella conduzione di ostilità belliche si sottraggono ad ogni sindacato giurisdizionale“;
tutto è cambiato con la ricordata sentenza 11 marzo 2004, n. 5044, di questa Corte con cui, per la prima volta, è stato affermato che per gli atti posti in essere nel corso di operazioni belliche integranti crimini lesivi dei diritti fondamentali della persona vi è una deroga al principio dell’immunità, pur ristretta agli “acta iure imperii”, degli Stati, avendosi riguardo a valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali;
di qui la reazione della Corte Internazionale di Giustizia che, con la menzionata sentenza del 3 febbraio 2012, ha dichiarato la Repubblica italiana inadempiente rispetto all’obbligo di rispettare l’immunità riconosciuta alla Repubblica Federale di Germania dal diritto internazionale sia accogliendo, in sede di cognizione del giudice civile, le pretese vantate nei confronti della Germania per violazioni del diritto internazionale umanitario commesse dal Terzo Reich tedesco tra il 1943 e il 1945; sia, in sede esecutiva, adottando misure coercitive (l’iscrizione all’ipoteca giudiziale) relativamente, nel caso specifico, a Vi. Vi., di proprietà della Germania;
la Corte dell’Aja ha:
– ribadito che il principio dell’immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione per gli atti funzionali svolge un importante ruolo nel diritto internazionale e nelle relazioni internazionali poiché deriva da quello della pari sovranità tra gli Stati, che a propria volta è principio fondamentale dell’ordinamento internazionale ai sensi dell’art. 2, par. 1, della Carta delle Nazioni Unite, firmata il 26 giugno 1945 a San Francisco e ratificata con legge n. 848 del 1957;
– indicato che le richieste di risarcimento avanzate dalle vittime dei crimini di guerra, essendo impedite in qualunque sede giudiziale dall’immunità così riconosciuta, avrebbero potuto essere, piuttosto, oggetto di negoziazioni tra i due Stati coinvolti, finalizzate alla risoluzione pacifica della questione;
lo Stato italiano, allo scopo di conformarsi alla richiamata decisione della Corte Internazionale di Giustizia, ha approvato la L. n. 5 del 2013, il cui art. 3 disponeva che “quando la Corte Internazionale di Giustizia, con sentenza che ha definito un procedimento di cui è stato parte lo Stato italiano, ha escluso l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile, il giudice davanti al quale pende controversia relativa alle stesse condotte rileva d’ufficio e anche quando ha già emesso sentenza non definitiva passata in giudicato che ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione, il difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo“;
questa Corte è tornata quindi ad affermare l’insussistenza della giurisdizione civile (Cass., Sez. U., 21/01/2014, n. 1136) ma, successivamente, la Consulta, con sentenza 22 ottobre 2014, n. 238, come parimenti noto, pur escludendo di poter sindacare l’interpretazione della Corte Internazionale di Giustizia sulla portata della norma consuetudinaria dell’immunità dello Stato estero dalla giurisdizione per “acta iure imperii”, ha ritenuto invece di dover controllare la compatibilità degli effetti della previsione interna derivata da quella consuetudinaria, come intesa da quella Corte, con l’ordinamento costituzionale;
con tale pronuncia è stato affermato che gli effetti così prodotti si ponevano in contrasto con uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale, ovvero il “diritto al giudice (art. 24), congiuntamente al principio posto a tutela di diritti fondamentali della persona (art. 2)”, entrambi sintetizzati nel diritto fondamentale alla dignità umana, che opera quale “controlimite” all’ingresso delle norme di ogni altro ordinamento;
con tale arresto è stata riaffermata la giurisdizione dello Stato per le azioni di accertamento e condanna promosse in sede cognitiva nei confronti di Stati esteri, e nello specifico della RFG, rispetto ad atti annoverabili nell’ambito dei crimini contro l’umanità, costituenti “delicta iure imperii” piuttosto che “acta iure imperii“;
questa Corte si è adeguata, nuovamente affermando che l’immunità dalla giurisdizione civile degli Stati esteri per atti “iure imperii” costituisce una prerogativa, e non un diritto, riconosciuta da norme consuetudinarie internazionali, la cui operatività è preclusa nel nostro ordinamento, a séguito della sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2014, per i “delicta imperii”, per quei crimini, cioè, compiuti in violazione di norme internazionali di “ius cogens”, in quanto tali lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali (Cass., Sez. U., 29/07/2016, n. 15812, Cass., Sez. U., n. 762 del 2017, cit., pronunciata nel presente giudizio, Cass., Sez. U., 28/09/2020, n. 20442);
in questo contesto, tenuto conto dell’Accordo di Bonn del 1961, che conteneva una clausola liberatoria in favore della RFG e a carico dello Stato italiano, è intervenuto il decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, che con l’art. 43:
a) ha istituito il “Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945, assicurando continuità all’Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica Federale di Germania reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 14 aprile 1962, n. 1263“;
b) ha stabilito che “hanno diritto all’accesso al Fondo, alle condizioni e secondo le modalità previste dal presente…coloro che hanno ottenuto un titolo costituito da sentenza passata in giudicato avente ad oggetto l’accertamento e la liquidazione dei danni…, a séguito di azioni giudiziarie avviate alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero entro il termine di cui al comma 6…“;
c) ha previsto, per quanto qui in rilievo, che “in deroga all’articolo 282 del codice di procedura civile, anche nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, le sentenze aventi ad oggetto l’accertamento e la liquidazione dei danni…acquistano efficacia esecutiva al momento del passaggio in giudicato e sono eseguite esclusivamente a valere sul Fondo di cui al medesimo comma…“;
d) al comma 6 ha prescritto che “fatta salva la decorrenza degli ordinari termini di prescrizione, le azioni di accertamento e liquidazione dei danni…non ancora iniziate alla data di entrata in vigore del presente decreto sono esercitate, a pena di decadenza, entro centottanta giorni dalla medesima data” (termine prorogato, al momento dell’udienza odierna sino al 31 dicembre 2023 dal D.L. n. 198 del 2022, quale convertito, art. 8, comma 11-ter, quale a sua volta modificato dall’art. 5-bis, comma 1, del D.L. n. 132 del 2023, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 novembre 2023, n. 170)“;