La Corte di Appello di Roma procedeva ad una ripartizione delle responsabilità dei componenti di un equipe medica, sul presupposto della sola anzianità professionale e della qualifica di primario del reparto di neurochirurgia, senza indagare invece circa gli effettivi compiti svolti. Così operando ha fatto cattivo governo della regola della presunzione di corresponsabilità.
Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza dd. 8 maggio 2024 n. 12462 rilevando che: “qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3 c.p.c., competendo alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729, oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta“.
L’accertamento operato della corte territoriale è così errato. Infatti: “il fatto noto da cui è stato desunto il fatto ignoto è il livello di esperienza e di competenza di ciascuno dei medici. Il fatto ignoto che doveva desumersi era il contributo causale di ciascuno all’evento dannoso. Stante questo fatto ignoto, quello noto del livello di esperienza e di competenza di ciascuno dei medici appare inidoneo ad essere sussunto nell’indice presuntivo dotato di gravità, precisione, concordanza in quanto privo di ogni relazione con il concreto svolgimento dei fatti, in termini di contributo causale del singolo medico all’evento dannoso in relazione al quale è stato promosso il giudizio. Ed invero, in mancanza di altri indici, vi è un salto logico fra la competenza ed esperienza del medico in astratto, e quanto in concreto sia stato dal medesimo in concreto compiuto nell’intervento chirurgico in questione“.