La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12943 del 13 maggio 2024, ribadisce in maniera decisa il proprio precedente, ed oramai granitico, convincimento per il quale “il riconoscimento e la concreta liquidazione, in forma monetaria, dei pregiudizi sofferti dalla persona a titolo di danno morale mantengono integralmente la propria autonomia rispetto ad ogni altra voce del c.d. danno non patrimoniale, non essendone in alcun modo giustificabile l’incorporazione nel c.d. danno biologico, trattandosi (con riguardo al danno morale) di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per la compromissione degli aspetti puramente dinamico-relazionali della vita individuale“.
Il danno morale -si ripete- è dunque completamente autonomo rispetto al danno biologico: ed invero con tale termine si allude “a una realtà che (diversamente dal danno biologico) rimane in sé insuscettibile di alcun accertamento medico-legale e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d’animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato“.
Per quanto riguarda l’aspetto della quantificazione, nella richiamata sentenza, si afferma che: “ove si accerti l’esistenza, nel caso concreto, tanto del danno dinamico-relazionale (c.d. biologico) quanto del danno morale, il quantum risarcitorio va determinato applicando integralmente i valori evincibile dalle tabelle di Milano (che contemplano entrambe le voci di danno); qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati il ristoro del danno biologico va personalizzato, mediante l’aumento sino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato dalla componente incrementativa per il danno morale automaticamente inserita in tabella“