La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10 del 26 gennaio 2024, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art.18 della legge 26 luglio 1975 n. 354, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa, a svolgere i colloqui intimi con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona tabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, torna ad riflettere sul tema della sessualità, quale diritto fondamentale di ogni persona.
La decisione risulta particolarmente rilevante in quanto vi si afferma che: “l’ordinamento giuridico tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza“. Ed invero, da tempo, la Corte Costituzionale ha riconosciuto che “essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’articolo 2 Cost. impone di garantire” (Corte Cost. 18 dicembre 1987 n. 561). Nel recente arresto si precisa poi che “l’impossibilità per il detenuto di esprimere una normale affettività con il partner si traduce in un vulnus alla persona nell’ambito familiare e, più ampiamente, in un pregiudizio per la stessa nelle relazioni nelle quali si svolge la sua personalità, esposte pertanto ad un progressivo impoverimento, e in ultimo al rischio della disgregazione“
Orbene le gravissime disabilità (per esempio la tetraparesi), determinate da lesioni traumatiche, impediscono al danneggiato di trattenere relazioni interpersonali complete sotto il profilo psicoaffettivo, emotivo e sessuale poiché ostacolate da una condizione di ridotta autosufficienza a livello di mobilità e motilità. In certi casi si aggiunge addirittura l’impossibilità di pervenire autonomamente a soddisfacenti pratiche di autoerotismo. Nel disabile la difficoltà a vivere la sfera dell’intimità e della sessualità alimenta ancor di più la perdita di autonomia. Queste situazioni producono uno stato di emarginazione affettiva e relazionale. Si aggiunga a queste difficoltà la persistenza, nella nostra cultura, del pregiudizio per cui le persone disabili sono percepite come asessuate, prive di una dimensione erotica e senza un desiderio di intimità. L’impossibilità, con questi presupposti, di raggiungere una condizione di benessere psicofisico, emotivo e sessuale, costituisce una limitazione non solo al diritto fondamentale alla salute ma un vulnus irrimediabile alla stessa dignità della persona, privata di un aspetto essenziale, come sopra dichiarato dalla Corte Costituzionale. Non può dimenticarsi, sotto tale aspetto, il disegno di legge n. 1442 del 2014 della 17° Legislatura in ordine alla sessualità assistita per persone con disabilità.
Orbene come si risarcisce questo danno? Si ritiene ancora possibile che la valutazione standard della tabellazione (costruita su barème medico legali relativa al danno biologico) possa già compensare la grave lesione ad un diritto diverso da quello della salute (https://studiolegalepalisi.com/2024/06/17/la-personalizzazione-del-danno-non-patrimoniale-2/)? La personalizzazione, anche al di fuori degli schemi predisposti, può ristorare completamente tale lesione? Non affrontare tale problema, che raramente viene esaminato nelle sentenze dei Tribunali o delle Corti, dando per scontata o implicita tale gravissima limitaziona, e non invece trattarla in maniera analitica e sistematica, significa solo non assicurare il risarcimento di tale danno, in aperta violazione al principio dell’integrale ristoro che l’ordinamento afferma.