La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 20661 del 24 luglio 2024, rammenta il principio (cfr. Cass. Civ. 8 febbraio 2019 n. 3724) secondo cui, nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica e il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi (https://studiolegalepalisi.com/2023/08/27/perdita-della-capacita-lavorativa-specifica-nel-minore/)
Ed invero la Corte precisa che: “la liquidazione di detto danno può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio (cfr. Cass. Civ. 14 novembre 2013 n. 25634; Cass. Civ. 23 settembre 2014 n. 20003 Cass. Civ. 15 giugno 2018 n. 15737)”.
Orientamento colpevolmente sconosciuto al Giudice del Tribunale di Cagliari che, richiesto di risarcire il danno patrimoniale per perdita di capacità lavorativa specifica per un minore con il 98% di I.P., ha recentemente rigettato la richiesta, derubricandola indebitamente a semplice perdita di capacità lavorativa generica, in quanto il minore non aveva mai lavorato (“Quanto al risarcimento per la perdita di capacità lavorativa, insegna la Suprema Corte di Cassazione che la capacità lavorativa generica non è ancorata ad una puntuale condizione lavorativa del danneggiato ma costituisce una manifestazione dell’unitaria e onnicomprensiva categoria del danno non patrimoniale. Il danno da riduzione della capacità lavorativa generica non attiene alla produzione del reddito ma si sostanzia in una menomazione dell’integrità psicofisica risarcibile come danno biologico“).
In realtà il danno da riduzione della capacità di guadagno subito da soggetto in età scolare , in conseguenza della lesione dell’integrità psico-fisica, può essere infatti valutato attraverso: “il ricorso alla prova presuntiva allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro il danneggiato percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’evento lesivo, tenendo conto delle condizioni economico – sociali del danneggiato e della sua famiglia e di ogni altra circostanza del caso concreto. Ne consegue che ove l’elevata percentuale di invalidità permanente renda altamente probabile, se non certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno ad essa conseguente, il giudice può accertare in via presuntiva la perdita patrimoniale occorsa alla vittima e procedere alla sua valutazione in via equitativa, pur in assenza di concreti riscontri dai quali desumere i suddetti elementi (nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la pronuncia con la quale il giudice di merito aveva ritenuto insussistente la prova del danno alla capacità di produrre reddito di un minore in età scolare che aveva subìto gravissime lesioni alla nascita dalle quali gli era derivata un’invalidità permanente pari al 52%) (cfr. Cass. Civ. 15 maggio 2018 n. 11750)”.
Allo stesso modo, il giudice di legittimità ha ritenuto che, nel caso di lesione della salute di rilevante entità, occorsa a soggetto che, all’epoca del sinistro, non svolgeva alcuna attività lavorativa: “il pregiudizio conseguente alla riduzione della capacità lavorativa generica è risarcibile quale danno patrimoniale allorquando, alla stregua di un criterio di regolarità causale, risulti diminuita la capacità del danneggiato di produrre reddito mediante lo svolgimento di occupazioni consone al livello d’istruzione posseduto (cfr. Cass. Civ. 20 dicembre 2023 n. 35663“.
Nel caso portato all’attenzione della Corte di Cassazione, il giudice di merito aveva erroneamente escluso l’esistenza di un danno da perdita della capacità di guadagno nonostante l’accertata sussistenza di un danno biologico pari all’85%. La Suprema Corte ritiene che: “l’argomentazione così elaborata dal giudice d’appello, oltre a trascurare totalmente il rilevantissimo valore presuntivo del danno biologico accertato nella misura dell’85% rispetto al presumibile danno alla futura capacità di guadagno, non sfugge alla censura di illogicità (…), dovendo ritenersi del tutto apodittica l’affermazione secondo cui la circostanza di aver portato a termine gli studi di livello superiore sia valso univocamente a tradursi nel riconoscimento di una totale ‘assenza di danno’ a carico del giovane St.Sa. (quanto non piuttosto il riconoscimento di un elevatissimo spirito di sacrificio del ragazzo paraplegico ed invalido all’85%). Da una diversa prospettiva, la stessa argomentazione deve ritenersi lesiva del principio di cui all’art. 2729 c.c. nella misura in cui governa il valore rappresentativo delle presunzioni in maniera palesemente infedele rispetto alla necessità della loro gravità, precisione e concordanza (ancora una volta, il fatto noto di ‘aver portato a termine gli studi di livello superiore’ non giustifica affatto l’inferenza del fatto ignoto ‘assenza di danno ‘, in presenza dell’altro fatto noto ”invalidità pari all’85%’)“.