La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21261 del 30 luglio 2024, conferma che, in tema di responsabilità medica, allorché un paziente, già affetto da una situazione di compromissione dell’integrità fisica, sia sottoposto ad un intervento che, per la sua cattiva esecuzione, determini un esito di compromissione ulteriore rispetto alla percentuale che sarebbe comunque residuata anche in caso di ottimale esecuzione dell’intervento stesso, ai fini della liquidazione del danno con il sistema tabellare, deve assumersi come percentuale di invalidità quella effettivamente risultante, alla quale va sottratto quanto monetariamente indicato in tabella per la percentuale di invalidità comunque ineliminabile, e perciò non riconducibile alla responsabilità del sanitario.
Così correttamente la Corte d’Appello, nel caso in oggetto, aveva calcolato il totale del danno riportato (conseguente ad una invalidità permanente complessiva, all’esito dell’infarto, della caduta, e dell’intervento dei sanitari, al 50%), sottraendo da esso la percentuale di danno non iatrogeno, comunque ineliminabile perché derivante esclusivamente dai postumi permanenti della infermità che aveva colpito il paziente (invalidità permanente al 30%). Quello che rimaneva era il danno differenziale: nel caso di specie, l’equivalente di una invalidità permanente al 20%, calcolata però come detto.
La sentenza impugnata però -a giudizio della Corte di Cassazione- non teneva in conto, nell’effettuare il calcolo del danno differenziale, la differenza tra postumi coesistenti e concorrenti, e la sua rilevanza ai fini dell’esatta determinazione del danno risarcibile, differenza evidenziata da Cass. Civ. n. 28986/19 e poi ripresa da Cass. Civ. n. 514 del 2020 e, tra le altre, da Cass. Civ. n. 26851 del 2023. Non spiegava, cioè, perché: “i postumi della patologia cardiaca ischemica di natura non iatrogena dovrebbero ritenersi “concorrenti” con le conseguenze neurologiche della emorragia cerebrale oggetto della liquidazione risarcitoria, di talché le conseguenze dell’illecito sarebbero rese più gravi dall’incidere su un soggetto con quella specifica patologia pregressa, e non semplicemente coesistenti con essa“.
Ed invero la Corte di Cassazione afferma che: “Ai fini di una corretta liquidazione del danno risarcibile, occorre accertare se la condizione preesistente (o anche contemporaneamente determinatasi, ma per causa indipendente) del soggetto leso abbia o meno una incidenza causale sulla sua condizione finale, se cioè essa possa ritenersi concorrente, e non meramente coesistente“. In altri termini: “quel che rileva, al fine della stima percentuale dell’invalidità permanente, non sono né formule definitorie astratte (“concorrenza” o “coesistenza” delle menomazioni), né il mero riscontro della identità o diversità degli organi o delle funzioni menomati. Poiché si tratta di accertare un nesso di causalità giuridica, quel che rileva è il giudizio controfattuale, e dunque lo stabilire col metodo c.d. della “prognosi postuma” quali sarebbero state le conseguenze dell’illecito, in assenza della patologia preesistente. Se tali conseguenze possono teoricamente ritenersi pari sia per la vittima reale, sia per una ipotetica vittima perfettamente sana prima dell’infortunio, dovrà concludersi che non vi è alcun nesso di causa tra preesistenze e postumi, i quali andranno perciò valutati e quantificati come se a patirli fosse stata una persona sana. In tal caso, pertanto, sul piano medico-legale il grado di invalidità permanente sofferto dalla vittima andrà determinato senza aprioristiche riduzioni, ma apprezzando l’effettiva incidenza dei postumi sulle capacità, idoneità ed abilità possedute dalla vittima prima dell’infortunio“.
La Corte così sintetizza i seguenti aspetti:
“1) la liquidazione del danno biologico cd. differenziale deve modellarsi sui criteri propri della causalità giuridica, e cioè con riferimento alla percentuale complessiva del danno (nella specie, il 50%), interamente ascritta all’agente sul piano della causalità materiale, da cui sottrarre quella non imputabile all’errore medico, del 30%, il cui risultato (20%) postula una liquidazione “per sottrazione”, tra il primo e il secondo valore numerico (50%-30%). Il relativo importo (stante la progressione geometrica e non aritmetica del punto tabellare d’invalidità) risulta inevitabilmente superiore a quello relativo allo stesso valore percentuale (20%) se calcolato da 0 a 20“;
“2) tuttavia, in caso di coesistenza – come nella specie – di una menomazione non imputabile ad errore medico e di altra menomazione ad esso riconducibile, vi è spazio per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno differenziale, calcolato come sopra, soltanto nel caso in cui, con giudizio controfattuale ex post, si accerti che le due tipologie di postumi (quella indipendente dall’errore medico, nel nostro caso, i postumi dell’infarto, e quella provocata dall’errore medico, nel nostro caso, i postumi dell’ischemia cerebrale), siano in rapporto di concorrenza e non di semplice coesistenza, ovvero che la presenza della prima tipologia di postumi incida negativamente, aggravando la situazione del soggetto leso, sui postumi derivanti dall’errore medico“