Con la sentenza n. 21415 del 30 luglio 2024, la Corte di Cassazione ritorna sulla differenza tra la condotta che ha determinato la morte (anche semplicemente solo anticipandola) e quella che ha determinato la perdita di semplice chanches di sopravvivenza.
In particolare per quanto riguarda i danni risarcibili, in giurisprudenza si afferma che la perdita della vita, a causa di un fatto illecito, non integra un danno risarcibile per colui che la subisce (da trasmettere eventualmente iure successionis dai suoi eredi), potendo, invece, configurarsi solo come pregiudizio da perdita del rapporto parentale, risarcibile iure proprio in favore dei congiunti. A medesima conclusione si perviene anche nell’ipotesi (frequente in tema di responsabilità medica) in cui il danno si configura come anticipazione della morte, che sarebbe comunque sopraggiunta (per esempio per un processo patologico in corso). Si rileva infatti che “esemplificando, causare la morte d’un ottantenne sano, che ha dinanzi a sé cinque anni di vita sperata, non diverge, ontologicamente, dal causare la morte d’un ventenne malato che, se correttamente curato, avrebbe avuto dinanzi a sé ancora cinque anni di vita. L’unica differenza tra le due ipotesi sta nel fatto che, nel primo caso, la vittima muore prima del tempo che gli assegnava la statistica demografica, mentre, nel secondo caso, muore prima del tempo che gli assegnava la statistica e la scienza clinica: ma tale differenza non consente di pervenire ad una distinzione “morfologica” tra le due vicende, così da affermare la risarcibilità soltanto della seconda ipotesi di danno” (cfr. Cass. Civ. 19 settembre 2023 n. 26851). E’ possibile, dunque, discorrere (risarcendolo) di “danno da perdita anticipata della vita“, con riferimento al diritto iure proprio degli eredi, solo definendolo il pregiudizio da minor tempo vissuto ovvero da valore biologico relazionale residuo di cui non si è fruito, correlato al periodo di tempo effettivamente vissuto.
Si ritiene comunque non risarcibile il danno da “perdita anticipata della vita” trasmissibile “iure successionis“, non essendo predicabile, nell’attuale sistema della responsabilità civile, la risarcibilità del danno tanatologico (cfr. Cass. Civ. 27 dicembre 2023 n.35998; Cass. Civ. 19 settembre 2023 n. 26851)
Quindi nel caso in cui la condotta illecita (per esempio del medico) si ponga quale causa certa della morte (o anche solo dell’anticipazione dell’evento morte) sono legittimamente reclamabili iure successionis solo:
a) il danno biologico terminale, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, prescinde dalla percezione cosciente della lesione da parte della vittima nella fase terminale della stessa, e richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo;
b) il danno morale terminale (detto anche ‘danno da lucida agonia’ o ‘danno catastrofale o catastrofico’) consiste nel danno subìto dalla vittima per la sofferenza provata nell’avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine; esso è risarcibile a prescindere dall’intervallo di tempo intercorso tra le lesioni ed il decesso, rilevando soltanto l’intensità della sofferenza.