La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23330 del 29 agosto 2024, è stata chiamata a precisare se, per il calcolo del lucro cessante, l’adeguamento ai parametri degli studi di settore concorra o meno a formare il reddito di riferimento per il calcolo.
ll ricorrente si doleva infatti della quantificazione del danno patrimoniale, in quanto la sentenza impugnata aveva assunto come base numerica del calcolo – peraltro, poi correttamente sviluppato sul piano strettamente aritmetico – il “reddito lordo d’impresa“, risultante dai modelli delle dichiarazioni dei redditi prodotte dal danneggiato, anziché il “reddito lordo reale“, ossia il dato ricavabile mediante detrazione, dal primo, della somma indicata nella dichiarazione reddituale a titolo di adeguamento a “Parametri e studi di settore”. Quest’ultima non rappresenta un reddito reale ma una posta fittizia indipendente dai risultati economici conseguiti dall’impresa e dunque dalle scritture contabili, determinata automaticamente dall’erario per ogni annualità e per ogni tipologia d’impresa e la cui previsione nella dichiarazione dei redditi è finalizzata unicamente alla determinazione della soglia minima di imposizione fiscale.
La Corte di Cassazione rileva che “la censura proposta mette in discussione il principio, enunciato da questa Corte, secondo cui, agli effetti del risarcimento del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica, va considerata l’incidenza dell’invalidità permanente su un reddito di lavoro autonomo avuto riguardo al reddito “dichiarato” ai fini dell’imposta sul reddito (Cass. Sez. 3, sent. 15 maggio 2018, n. 11759, Rv. 648613-01; Cass. Sez. 3, sent. 9 luglio 2008, n. 18855, Rv. 604213-01 e, ancora prima, Cass. Sez. 3, sent. 20 giugno 1996, n. 5680 Rv. 498197-01, Cass. Sez. 3, sent. 23 marzo 1994, n. 2822, Rv. 485895-01)“.
Ed invero -richiamando la sentenza n. 11759 del 2018- precisa che: “l’art. 4 del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, come modificato dalla legge di conversione 26 febbraio 1977, n. 39, nel disporre che in caso di danno alle persone, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l’incidenza dell’inabilità temporanea o dell’invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina, per il lavoro autonomo, “sulla base del reddito netto risultante più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche degli ultimi tre anni“. La norma, dunque, “attribuisce rilievo, alla stregua della sua testuale formulazione, al reddito da lavoro netto dichiarato dal lavoratore autonomo ai fini dell’applicazione della sopraindicata imposta ed ha riguardo, quindi, non al reddito che residua dopo l’applicazione dell’imposta stessa ma alla base imponibile di cui all’art. 3 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, cioè all’importo che il contribuente è tenuto a dichiarare ai fini dell’imposta sopraindicata, dovendo inoltre intendersi per reddito dichiarato dal danneggiato quello risultante dalla differenza fra il totale dei compensi conseguiti (al lordo delle ritenute d’acconto) ed il totale dei costi inerenti all’esercizio professionale – analiticamente specificati o, se consentito dalla legge, forfettariamente conteggiati – senza possibilità di ulteriore decurtazione dell’importo risultante da tale differenza, per effetto del conteggio delle ritenute d’imposta sofferte dal professionista“.
La Corte di Cassazione ritiene dunque che “tali affermazioni, applicate al caso che occupa, impongono di valorizzare il fatto (o meglio, il dato testuale, di cui al suddetto art. 4 del D.L. n. 857 del 1976) secondo cui, ai fini della quantificazione del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica del lavoratore autonomo, ciò che conta è il reddito “dichiarato”, irrilevante, pertanto, essendo la circostanza che esso includa la voce che il ricorrente indica come “adeguamento per studi di settore”, nel senso che “imputet sibi” la scelta del Qu.An. di includere la stessa in quella “base imponibile” che costituisce, come visto, il punto di riferimento per l’applicazione della norma summenzionata. Esito, questo, che a maggior ragione si impone, ove si consideri che l’odierno ricorrente – proprio per la sua condizione di vittima di sinistro stradale – poteva avvalersi, nei confronti dell’amministrazione finanziaria, della facoltà di giustificare il mancato adeguamento ai ricavi o compensi determinati sulla base degli studi di settore, mediante apposita attestazione rilasciata ai sensi dell’art. 10, comma 3-ter, della citata legge 8 maggio 1998, n. 146“