La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23664 del 3 settembre 2024, rileva come costituisca: “consolidato principio posto dalla giurisprudenza di questa Corte, in materia di prescrizione, a partire da Cass. Sez. Un., 580/2008, quello secondo cui occorre distinguere a seconda che si tratti di fatto illecito, che, dopo un primo evento lesivo, determina ulteriori conseguenze pregiudizievoli, ovvero che si tratti di illecito cd. permanente, in cui il comportamento lesivo non si esaurisce uno actu, ma perdura nel tempo oltre la produzione del danno e lo alimenta per tutta la sua durata. Nel primo caso, secondo il costante indirizzo di questo Giudice di legittimità (ex plurimis: Cass., 07.11.2005, n. 21500; Cass., 02.4.2004, n. 6515; Cass., 25.11.2003, n. 17940), la prescrizione dell’azione risarcitoria per il danno inerente alle ulteriori conseguenze dannose decorre dal verificarsi di questa ultime solo a condizione che le medesime non costituiscano un mero sviluppo ed un aggravamento del danno già insorto, ma la manifestazione di lesione nuova ed autonoma rispetto a quella esteriorizzatasi con l’esaurimento dell’azione del responsabile, poiché il semplice peggioramento di una lesione in atto non sposta il termine iniziale di prescrizione.
La Corte precisa che tale principio è stato successivamente ribadito, in relazione ad azione risarcitoria proposta per contagio da virus dell’epatite C conseguente ad emotrasfusione con sangue infetto secondo cui “in materia di diritto al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, qualora si tratti di un illecito che, dopo un primo evento lesivo, determina ulteriori conseguenze pregiudizievoli, il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria per il danno inerente a tali ulteriori conseguenze decorre dal verificarsi delle medesime solo se queste ultime non costituiscono un mero sviluppo ed un aggravamento del danno già insorto, bensì la manifestazione di una lesione nuova ed autonoma rispetto a quella manifestatasi con l’esaurimento dell’azione del responsabile. (Cass., 34132/2022)“. Sempre in materia del danno da trasfusioni di sangue infetto, il suindicato principio ha trovato continuità affermandosi che: “In caso di patologia ingravescente dal possibile esito letale che determini un’invalidità espressa nei gradi percentuali dei “barèmes” medico legali, l’aggravamento delle condizioni del danneggiato costituisce la mera concretizzazione del rischio, già considerato nella scala dei gradi di invalidità, di un’evoluzione peggiorativa eziologicamente riconducibile all’originaria infermità e, perciò, non integra un ulteriore danno biologico risarcibile, a meno che al tempo dell’accertamento il successivo evento dannoso, ancorché riconducibile all’originaria lesione, fosse sconosciuto alla scienza medica e, quindi, non considerato dai “barèmes”. (In applicazione di tale principio, la S.C. con la sentenza n. 29492 del 2019 ha confermato la decisione di merito che aveva escluso il risarcimento -in aggiunta al danno biologico precedentemente accertato e liquidato – del pregiudizio derivante dal peggioramento delle condizioni di salute e, poi, dal decesso di un soggetto affetto da virus HCV contratto a seguito di emotrasfusione, trattandosi di avveramento di un prevedibile rischio di aggravamento della patologia epatica originaria)“.
l principio ha, peraltro, trovato applicazione anche in tema di inquinamento ambientale, ove è stato precisato -rammenta sempre la Corte- che: “… vertendosi in tema di illecito istantaneo con effetti permanenti (come in tutte le ipotesi di danno da inquinamento: ex multis, Cass. 1156 del 1995, nonché, implicitamente, Cass. 17985 del 2007), la condotta lesiva si esauriva, nella specie, in un fatto quod unico actu perfecitur, un fatto destinato, cioè, ad esaurirsi in una dimensione unitaria (sul piano logico e sostanzialmente cronologico) di concreta realizzazione, a prescindere dalla eventuale diacronia dei relativi effetti, onde la prescrizione del diritto al risarcimento del danno ad esso conseguente non poteva che iniziare a decorrere dal momento del fatto (rectius, della concreta percezione o percepibilità di esso) (Cass., 9711/2013)“.
La Corte quindi ritiene che: “gli aggravamenti delle patologie con caratteristiche lungolatenti, anche con esito mortale, benché non costituiscano una normale evoluzione di essa nella maggioranza dei casi, sono tuttavia collocabili nell’ambito della evoluzione prevedibile e quindi sono da tenere in conto in capo alla vittima fin da quando questa acquisisce coscienza della riconducibilità causale del contagio“.