Il Tribunale di Rovigo, con la sentenza n. 682 del 23 settembre 2024 (dott. Abiuso), ha confermato l’utilizzabilità nel giudizio civile della consulenza tecnica del Pubblico Ministero. La compagnia di assicurazione aveva contestato tale utilizzo, ritenendola non opponibilità, stante la mancata partecipazione alla fase di indagine.
Il Giudice rileva infatti che: “plurima giurisprudenza di merito e di legittimità, a cui si aderisce, considera pienamente utilizzabile quale prova atipica la consulenza del PM, anche in quanto proveniente da un organo imparziale quale la Procura della Repubblica, la quale ha un interesse pubblico all’accertamento verosimile della ricostruzione dei fatti, possedendo una maggiore attendibilità rispetto ad una mera perizia di parte“. Richiama infatti la Suprema Corte che ha chiarito che: “non può prescindersi dal ruolo precipuo rivestito dall’organo dell’accusa e dal suo diritto/dovere di ricercare anche le prove a favore dell’indagato, come stabilito dall’art. 358 c.p.p.: “se è vero che il consulente viene nominato ed opera sulla base di una scelta sostanzialmente insindacabile del pubblico ministero, in assenza di contraddittorio e soprattutto in assenza di terzietà, è tuttavia altrettanto vero che il pubblico ministero ha per proprio obiettivo quello della ricerca della verità concretamente raggiungibile attraverso una indagine completa in fatto e corredata da indicazioni tecnico scientifiche espressive di competenza e imparzialità dovendosi necessariamente ritenere che il consulente dallo stesso nominato operi in sintonia con tali indicazioni” (Sez. 2, n. 42937 del 24/9/2014, non massimata). È del resto dallo stesso ruolo di ausiliario dell’organo che lo ha nominato che discende la qualifica di pubblico ufficiale del consulente nominato dal PM nel corso delle indagini preliminari, il cui elaborato, pur non potendo essere equiparato alla perizia disposta dal giudice del dibattimento, è pur sempre il frutto di un’attività di natura giurisdizionale che perciò non corrisponde appieno a quella del consulente tecnico della parte privata. Gli esiti degli accertamenti e delle valutazioni del consulente nominato ai sensi dell’art. 359 c.p.p., rivestono perciò, proprio in ragione della funzione ricoperta dal Pubblico Ministero che, sia pur nell’ambito della dialettica processuale, non è portatore di interessi di parte, una valenza probatoria non comparabile a quella dei consulenti delle altre parti del giudizio” (Cass. Pen. 16458/2020).
Il Tribunale rileva che: “la prova formata nel procedimento penale, ancorché senza il rispetto delle relative regole poste a garanzia del contraddittorio, è ammissibile quale prova atipica nel processo civile, dove il contraddittorio è assicurato attraverso le modalità tipizzate per l’introduzione dei mezzi istruttori atipici nel giudizio, volte ad assicurare la discussione delle parti sulla loro efficacia dimostrativa in ordine al fatto da provare”
Così: “il giudice di merito, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, oltre che utilizzare prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, può anche avvalersi delle risultanze derivanti da atti di indagini preliminari svolte in sede penale, le quali debbono, tuttavia, considerarsi quali semplici indizi idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio, la cui concreta efficacia sintomatica dei singoli fatti noti deve essere valutata – in conformità con la regola dettata in tema di prova per presunzioni – non solo analiticamente, ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva in base ad un apprezzamento che, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico, non è sindacabile in sede di legittimità. Ne consegue, da un canto, che anche una consulenza tecnica disposta dal Giudice per le indagini preliminari in un procedimento penale, se ritualmente prodotta dalla parte interessata, può essere liberamente valutata come elemento indiziario idoneo alla dimostrazione di un fatto determinato, dall’altro, che in grado di appello, il giudice del gravame ha l’obbligo di estendere il proprio giudizio a tutte le risultanze probatorie e non limitarsi ad una rivalutazione della sola consulenza (benché la relativa valutazione debba sempre tener conto della circostanza che la consulenza si è formata o meno nel contraddittorio tra le parti, correlandola, se del caso, alle dichiarazioni raccolte nel corso dell’istruttoria civile di primo grado, come avvenuto nella specie) (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 19521 del 19/07/2019)“.