La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14846 del 28 maggio 2024, riconferma la responsabilità dell’Azienda Sanitaria per la condotta colposa del medico di base. Richiamato l’art. 25, comma 3, legge n. 833 del 1978 che prevede che “l’assistenza medicogenerica e pediatrica è prestata dal personale dipendente o convenzionato del servizio sanitario nazionale operante nelle unità sanitarie locali o nel comune di residenza del cittadino” precisa infatti che: “il diritto soggettivo dell’utente del S.S.N. all’assistenza medicogenerica ed alla relativa prestazione curativa, nei limiti stabiliti normativamente (dapprima, dal piano sanitario nazionale e, poi, dai LEA), nasce, dunque, direttamente dalla legge ed è la legge stessa ad individuare la ASL come soggetto tenuto ad erogarla, avvalendosi di “personale” medico alle proprie dipendenze ovvero in rapporto di convenzionamento (avente natura di rapporto di lavoro autonomo “parasubordinato”). Il medico convenzionato, scelto dall’utente iscritto al S.S.N. nei confronti della ASL, in un novero di medici già selezionati nell’accesso al rapporto di convenzionamento e in un ambito territoriale delimitato, è obbligato (e non può rifiutarsi, salvo casi peculiari sorretti da giustificazione e, dunque, sindacabili dalla stessa ASL) a prestare l’assistenza medico-generica, e dunque la prestazione curativa, soltanto in forza ed in base al rapporto di convenzionamento (e non già in base ad un titolo legale o negoziale che costituisca un rapporto giuridico diretto con l’utente), il quale rappresenta altresì la fonte che legittima la sua remunerazione da parte, esclusivamente, della ASL (essendo vietato qualsiasi compenso da parte dell’utente). Le prestazioni di assistenza medico-generica, che sono parte dei livelli uniformi (e, poi, dei LEA) da garantirsi agli utenti del S.S.N., sono, infatti, finanziate dalla fiscalità generale, alla quale concorrono tutti i cittadini con il versamento di una imposta (Cass. n. 6243 del 2015)” .
Viene così confermata la qualificazione della fattispecie di responsabilità in termini di responsabilità per fatto degli ausiliari di cui all’art. 1228 c.c.. Ed invero: “il soggetto pubblico, per l’adempimento dell’obbligazione di fornire l’assistenza medico-generica cui per legge è obbligato, si vale dell’opera del terzo, cioè di un esercente la professione sanitaria il quale non è dipendente del soggetto obbligato, ma costituisce personale “convenzionato” (in alternativa a quello “dipendente”, secondo l’indicazione fornita dall’art. 25, comma 3, legge n. 833 del 1978). Trattasi di una fattispecie di responsabilità, identificata in sede interpretativa dalla giurisprudenza, che è stata poi recepita dal legislatore con l’art. 7 legge n. 24 del 2017 (“1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina”), secondo una linea di continuità fra l’interpretazione giurisprudenziale dell’ordinamento ed il successivo intervento legislativo, quale argomento ex post a sostegno della detta interpretazione (il primo comma del citato articolo 7 stabilisce chiaramente la correlazione fra la collocazione lavorativa dell’esercente ed il titolo di responsabilità: per il dipendente vale l’art. 1218, per il non dipendente l’art. 1228)“.
La Corte peraltro rileva non essere elemento idoneo al mutamento della giurisprudenza l’argomento secondo cui, riconoscendo la responsabilità dell’A.T.S. per l’attività del medico generico convenzionato, dovrebbe riconoscersi la responsabilità anche per l’attività delle farmacie e delle strutture sanitarie accreditate, trattandosi di: “argumentum ab inconvenienti che mira a confutare l’interpretazione della fattispecie in esame per le conseguenze che potrebbe eventualmente avere in relazione a fattispecie diverse da essa, e comunque estranee all’oggetto dell’odierno ricorso. L’estraneità delle fattispecie richiamate al principio di diritto qui recepito rende l’argomento non pertinente sul piano logico e perciò inidoneo al mutamento della giurisprudenza. In ogni caso, a distinguere la fattispecie in esame da quelle richiamate nel motivo, vi è il costante riferimento nella giurisprudenza di questa Corte alla parasubordinazione, che connota il rapporto di lavoro con il personale medico convenzionato“