La Corte di Cassazione, con la sentenza del 17 settembre 2024 n. 25012, precisa che la: “responsabilità processuale aggravata, di cui al comma 3 dell’articolo 96 cpc, che è quello che viene qui in contestazione, consiste nell’aver abusato dello strumento processuale, e “richiede un accertamento – da effettuarsi caso per caso e in base al parametro indefettibile della correttezza, distinto da quella della lealtà – dell’esercizio ad opera della parte soccombente delle sue prerogative processuali in modo abusivo, cioè senza tener conto degli interessi configgenti in gioco, sacrificandoli ingiustificatamente o sproporzionatamente in relazione all’utilità effettivamente conseguibile, da desumersi in termini oggettivi dagli atti del processo o dalle condotte processuali e senza che il giudizio sulla antigiuridicità della condotta processuale possa farsi derivare automaticamente dal rigetto della domanda o dalla inammissibilità o dall’infondatezza della impugnazione (Cass. 26545/ 2021)“.
Nel caso di specie i giudici di merito avevano adeguatamente motivato tale configurabilità facendo leva sulla proposizione di tre querele di falso, condotta che aveva portato poi due consulenti a dimettersi, provocando così ritardi nella definizione del processo. La Corte ha precisato poi che non: “può dirsi che la condotta processuale dell’avvocato ricade solo su di lui e non sulla parte, essendo invece l’avvocato un preposto della parte ai fini della responsabilità ex articolo 2049 c.c. (Cass. 15333/ 2020)“.