La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26421 del 10 ottobre n2024, chiarisce, nell’intento di evitare eccessivi formalismi che pregiudichino l’esame nel merito delle domande, che: “il giudice può assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame e ponendo a fondamento della sua decisione princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, ferma restando la preclusione di una decisione basata non già sulla diversa qualificazione giuridica del rapporto, ma su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa (Cass.12943/2012), con immutazione della fattispecie e conseguente violazione – in ultra ovvero extrapetizione – del principio di correlazione tra il chiesto ed il pronunciato ex art.112 cod. proc. civ. (cfr. Cass. 11629/2017)“.
A fronte di ciò non è precluso tendenzialmente, a chi abbia invocato la responsabilità del convenuto ai sensi dell’art. 2087 e/o dell’art. 2049 cod. civ., di invocarne la responsabilità ai sensi dell’art. 2050 o dell’art. 2051 cod. civ., ove “abbia enunciato in modo sufficientemente chiaro situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, perché compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie contemplata anche dal diverso titolo di responsabilità“. Ed invero, richiamando propria precedente pronuncia (n. 5957 del 12/03/2018) la Corte ritiene non “ravvisabile alcun elemento ostativo alla individuazione dell’art.2051 c.c. quale concorrente titolo di responsabilità a carico della parte datoriale in ordine alla causazione dell’evento dannoso, non essendo configurabile alcun mutamento degli elementi identificativi della domanda… né risultando introdotti nel tema controverso nuovi elementi di fatto”, avendo il ricorrente indicato, sin dall’atto introduttivo del giudizio, i dati fattuali posti a fondamento della domanda di risarcimento dei danni subiti riconducendo chiaramente la causa dei suddetti danni alla cosa in custodia del datore di lavoro”
Nel caso di specie sia il giudice di primo grado che il giudice del gravame avevano preso in esame solo la responsabilità fondata sul comb. disp. degli artt. 2087 e 2049 c.c., affermando la carenza di prova in ordine all’assunzione da parte della committente di una posizione di garanzia rispetto alla corretta adozione di misure di sicurezza pure per i lavoratori dipendenti dalle società appaltatrici, senza prendere posizione sull’applicabilità degli artt. 2050 e 2051 c.c., nonostante i ricorrenti avessero, sin dal primo grado, allegato i dati fattuali posti a fondamento della domanda di risarcimento dei danni subiti e ricondotto la causa dei suddetti danni alla nocività dell’ambiente di lavoro dello stabilimento ed in particolare agli agenti patogeni prodotti dagli impianti e macchinari di proprietà della committente ed adiacenti ai luoghi dove il de cuius ha prestato la sua attività.
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