A seguito dell’avvenuta violenza sessuale, subita da una lavoratrice addetta su una nave crociera, da parte di due altri membri dell’equipaggio, la Corte di Appello di Genova procedeva a liquidare il cd. danno morale soggettivo rilevando che: “gli elementi sintomatici dell’entità della sofferenza interiore patita (cd. danno morale soggettivo) vanno senz’altro individuati nella giovane età della donna (30 anni) e “vergine” al momento dei fatti e della cultura profondamente religiosa della stessa (cattolica praticante) e dei suoi familiari, circostanze che hanno sicuramente amplificato la sua sofferenza interiore conseguente alla grave violenza subita sul posto di lavoro, consistita nell’essere stata vittima dapprima di molestie sessuali perpetrate da due superiori gerarchici e subito dopo dallo stupro commesso da uno dei due“. La Corte di Appello riteneva che tali elementi giustificassero “un incremento a titolo di personalizzazione del danno morale soggettivo nella somma complessiva di Euro 60.000,00, che va quindi ad aggiungersi, nella liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, a quanto già liquidato a titolo di danno biologico dalla Corte d’Appello pari ad Euro 97.185,00, per un importo quindi totale pari ad Euro 157.185,00“.
Gli obbligati al risarcimento impugnavano la decisione, davanti la Corte di cassazione, lamentando una motivazione meramente apparente e obiettivamente incomprensibile. La censura non ha trovato accoglimento.
La Corte di Cassazione (Sezione Lavoro) con la sentenza del 25 ottobre 2024 n.27723, ha infatti affermato, richiamando il proprio orientamento (cfr. Cass. n. 901 del 2018, Cass. n. 7513 del 2018; Cass. n. 23469 del 2018), che: “in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, anche personalizzato, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi (definibili come danni morali) che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione); parimenti il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di beni-interessi diversi dalla salute ma costituzionalmente tutelati può essere liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore)“.
Una volta riconosciuta in diritto la risarcibilità del danno morale quale posta autonoma del danno non patrimoniale, distinta dal danno biologico e dalla sua personalizzazione, la Corte afferma che: “l’accertamento in concreto della sussistenza di un tale tipo di danno così come della determinazione del suo ammontare in via equitativa compete al giudice del merito e involge inevitabilmente una quaestio facti che, come ogni altra, può essere sindacata innanzi a questa Corte nei limiti ristretti in cui può esserlo ogni accertamento di merito“.
Orbene nel caso di specie “è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale per determinare l’ammontare del danno morale soggettivo in via equitativa, facendo riferimento sia alla percentuale di danno biologico subito dalla danneggiata (e la giurisprudenza di legittimità, a più riprese, ha confermato la correttezza della modalità di liquidazione del danno morale attraverso il riferimento all’entità del danno biologico al quale la sofferenza interiore patita dal danneggiato è correlata; v. Cass. n. 20661 del 2024; Cass. n. 26301 del 2021; Cass. n. 25164 del 2020), sia ad elementi sintomatici “dell’entità della sofferenza interiore patita“, quali la giovane età della vittima e le sue condizioni personali e familiari; mentre non è sufficiente a determinare il vizio radicale della nullità della sentenza né una eventuale insufficienza della motivazione, né, tanto meno, la circostanza che la medesima non soddisfi le aspettative di chi ricorre“.
La Corte rammenta inoltre che: “la non patrimonialità – per non avere il bene persona un prezzo – del diritto leso, comporta che, diversamente da quello patrimoniale, il ristoro pecuniario del danno non patrimoniale non può mai corrispondere alla relativa esatta commisurazione, imponendosene pertanto la valutazione equitativa (per tutte Cass., SS.UU. n. 26972 del 2008; in conf. v. Cass. n. 18778 del 2014); pertanto, la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità solo se la motivazione difetti totalmente di giustificazione o si discosti sensibilmente dai dati di comune esperienza, o sia fondata su criteri incongrui rispetto al caso concreto o radicalmente contraddittori, ovvero se l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto (v. Cass. n. 1529 del 2010; Cass. n. 13153 del 2017; Cass. n. 31358 del 2021)“.