L’art.31, comma 3, del D.Lgs. n. 58 del 1998 (testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) pone a carico dell’intermediario la responsabilità solidale per i danni arrecati a terzi dal promotore finanziario nello svolgimento delle incombenze affidategli, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale. Il fondamento di questa responsabilità va ravvisato nel rilievo che l’agire del promotore è uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali è ragionevole far corrispondere i rischi, in ossequio al principio ubi commoda ibi et incommoda (cfr. Cass. Civ. 4 marzo 2014 n. 5020).
Presupposto della responsabilità dell’intermediario è la sussistenza di una connessione tra l’esercizio delle mansioni affidate al promotore finanziario e il danno da questi arrecato all’investitore, che la giurisprudenza della Corte di Cassazione, come pure confermato dalla recente sentenza del 11 novembre 2024 n. 28952, inquadra: “nell’ampio significato del nesso di “occasionalità necessaria“, con ciò evidenziando la relazione di continuità tra la norma speciale contenuta nel testo unico della finanza e la disposizione generale sulla responsabilità dei preponenti di cui all’art. 2049 cod. civ.” (Cass. Civ. 22 ottobre 2004 n. 20588; Cass. Civ. 13 dicembre 2007 n. 26172; Cass. Civ. 31 luglio 2017 n. 18928).
Ed invero: “in base alla pacifica e consolidata interpretazione giurisprudenziale di questa disposizione, la responsabilità del preponente, in solido con quella del preposto, sussiste se, una volta che sia stata accertata la sussistenza del rapporto di preposizione e il carattere illecito (doloso o colposo) del fatto dannoso posto in essere dal preposto, sia ravvisabile un nesso di occasionalità necessaria tra l’esercizio delle incombenze affidate al preposto e il danno da lui provocato al terzo. Per la sussistenza di questo nesso, però, non è necessario che il fatto dannoso sia derivato dall’esercizio dell’incombenze ma è sufficiente che tale esercizio abbia esposto il terzo all’ingerenza dannosa del preposto. Se l’esercizio delle incombenze abbia esposto il terzo all’ingerenza dannosa del preposto, il preponente ne risponde anche se il preposto abbia abusato della sua posizione, andando oltre l’incarico ricevuto od espletato, contravvenendo alle istruzioni ricevute e alle modalità di svolgimento concordate, o sostituendo alle finalità perseguite dal preponente obiettivi egoistici di carattere illecito e persino delittuoso“.
La Corte precisa che il citato art. 31: “esclude, nella sostanza, che il comportamento doloso del preposto interrompa il nesso causale fra l’esercizio delle incombenze ed il danno, ancorché esso costituisca abuso della posizione assunta nei rapporti con il preponente (ad es.: perché si è contravvenuto alle istruzioni da questi ricevute; perché si è agito per finalità estranea quelle del preponente; perché si è comunque strumentalizzato l’incarico ricevuto in funzione del perseguimento di finalità egoistiche ed illecite), persino nell’ipotesi in cui il detto comportamento costituisca reato e rivesta, quindi, particolare gravità. Peraltro, il predetto nesso può essere escluso dal contegno del danneggiato, allorché la sua condotta sia caratterizzata da “anomalie” tali da evidenziare, se non la collusione, quanto meno la consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore. In questo caso, viene meno il rapporto di necessaria occasionalità tra il fatto dannoso commesso dal preposto e l’esercizio delle incombenze a lui affidate, che giustifica la responsabilità della società preponente per il fatto dell’agente” (cfr. Cass. 13 dicembre 2013 n. 27925; Cass. Civ. 31 luglio 2017 n. 18928; Cass. Civ. 27 agosto 2020 n. 17947).
Il contegno “anomalo” dell’investitore può, inoltre, essere valutato quale fatto colposo concorrente con l’illecito dell’agente, in funzione della diminuzione del risarcimento, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ. (Cass. Civ. 1 marzo 2016 n. 4037; Cass. Civ. 13 maggio 2016 n. 9892; Cass. Civ. 26 luglio 2017 n. 18383; Cass. Civ. 28 luglio 2021 n. 21643).
Elementi presuntivi sintomatici di un contegno significativamente “anomalo” dell’investitore possono ricavarsi: “dal numero o dalla ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, dal valore complessivo delle stesse, dall’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, dalla conoscenza, da parte dell’investitore, del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e dalle sue complessive condizioni culturali e socio-economiche (Cass. 13/12/2013, n. 27925; Cass. 22/11/2018, n. 30161; Cass. 17/01/2020, n. 857), nonché, in particolare, dalla consegna all’agente di somme di danaro in contanti, in violazione dell’espresso divieto normativo posto dagli artt. 31, comma 2-bis, D.Lgs. n. 58 del 1998 e 108 del regolamento Consob adottato con delibera n. 16190 del 2007 (Cass. 20/01/2022, n. 1786; Cass. 25/10/2022, n. 31453; Cass. 16/11/2023, n. 31894)“.
Nel caso in esame, il giudizio di merito, in funzione dell’accertamento dell’eventuale contegno anomalo del danneggiato è stato individuato nell’incauto affidamento delle credenziali per operare sul suo conto mediante l’accesso al sistema home banking, da parte del cliente. Al riguardo, la Corte d’Appello , dopo avere specificamente apprezzato la detta condotta, pur evidenziando che non era stata fornita la prova che le credenziali del sistema home banking fossero state ottenute dal promotore senza la previa autorizzazione della cliente, ha tuttavia motivatamente escluso che l’eventuale spontanea consegna di esse concretasse una cooperazione colposa con l’illecito da lui posto in essere, o integrasse i connotati di anomalia idonei ad elidere il nesso di occasionalità necessaria, giustificativo della solidale responsabilità dell’Agenzia; ciò, in considerazione della presumibile non consapevolezza, da parte della cliente, delle implicazioni e dei rischi connessi all’affidamento di un incarico illimitato ad operare da remoto sul proprio conto corrente; inconsapevolezza desumibile, oltre che dal rapporto di parentela sussistente tra le parti, soprattutto dall’età avanzata dell’ignara investitrice, dalla circostanza che il conto era stato aperto solo in occasione della sottoscrizione delle polizze e dalla assenza di un formale mandato ad operare sul conto corrente.