La Corte di Cassazione, con la sentenza del 9 dicembre n. 31684 specifica i criterio liquidatori del lucro cessante conseguente ad una gravissima lesione arrecata ad una bambina all’atto della nascita. Rileva infatti che la Corte territoriale, avendo fatto riferimento nel calcolo del lucro cessante alla minore aspettativa di vita in concreta e non all’aspettativa di vita media, ha violato: “il principio di integralità del risarcimento a fronte di un danno patrimoniale futuro correlato ad una permanente invalidità, inibente totalmente e per sempre l’attività lavorativa, causata dall’illecito e, dunque, da questo derivando eziologicamente (prima ancora che rilevi il criterio di imputazione) anche la minore aspettativa di vita in concreto della danneggiata“.
Ed invero: “sotto il profilo del rispetto del principio di integralità del risarcimento (art. 1223 c.c.), la circostanza che l’invalidità permanente sia cagionata dall’illecito e che questo abbia negativamente inciso sulla stessa aspettativa di vita in concreto della persona danneggiata, comporta che i danni-conseguenza da essa derivanti, quello biologico e quello patrimoniale da mancata remunerazione dell’attività lavorativa, in quanto entrambi proiettantisi nel futuro, debbano trovare criteri sostanzialmente omogenei di liquidazione. In tal senso, come si è visto, nella liquidazione del danno biologico la valorizzazione del dato della minore speranza di vita si lega al correttivo della inclusione del “rischio latente” nella costruzione del barème, ma là dove ciò non accada la liquidazione stessa deve effettuarsi tenendo conto del parametro della durata media nazionale della vita. Nella liquidazione del danno patrimoniale futuro da mancata remunerazione dell’attività lavorativa il correttivo anzidetto non e, logicamente, utilizzabile, non essendovi un barème medico-legale che misuri la perdita della capacità produttiva di reddito lavorativo, e, pertanto, residua e trova applicazione il criterio della durata media nazionale della vita“.
In tal senso è orientata la giurisprudenza di legittimità che, ai fini della liquidazione di tale danno patrimoniale, richiede di moltiplicare il reddito perduto per un adeguato ed affidabile coefficiente di capitalizzazione, in quanto aggiornato e scientificamente corretto (come, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano), composto da due variabili, ossia il montante di anticipazione (individuato sulla scorta di un certo tasso di interesse) e, per l’appunto, la durata media della vita, in base alle tavole di mortalità (Cass. n. 10499/2017; Cass. n. 16913/2019)Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto:
Viene dunque posto il seguente principio di diritto: “il danno patrimoniale futuro da mancato guadagno per la perdita totale della capacità di lavoro in conseguenza dell’illecito va liquidato facendo riferimento al parametro dell’aspettativa di vita media del soggetto danneggiato e non alla sua minore aspettativa di vita in concreto accertata“