Una società autostradale veniva citata in giudizio, a titolo di responsabilità da inadempimento ovvero da fatto illecito, al risarcimento dei danni subiti dall’attore. Quest’ultimo deduceva che, mentre transitava con la vettura di sua proprietà nel tratto della predetta autostrada, il veicolo veniva colpito violentemente da un oggetto che sfondava il parabrezza, mandandolo in frantumi, proiettando parti di vetro all’interno dell’abitacolo. Il Giudice di Pace condannava la società mentre il Tribunale riformava integralmente la sentenza di primo grado e rigettava la domanda, non avendo l’attore fornito l’individuazione del natura del corpo che aveva attinto la propria autovettura.
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 18 dicembre 2024 n.33128 ribalta la precedente decisione sulla base della della natura contrattuale della responsabilità del proprietario o del concessionario di autostrade nei confronti del conducente di un autoveicolo per i danni subiti nell’uso dell’autostrada, in quanto il pagamento del pedaggio (ove previsto) determina la nascita di un rapporto contrattuale, configurandosi, il pedaggio, quale “prezzo pubblico”, in funzione di corrispettivo versato per l’utilizzazione di un’opera già compiutamente realizzata per fini di interesse generale (cfr. Cass. Civ. 13 gennaio 2003 n. 298).
Nel caso di specie, rileva la Corte: “il proprietario o concessionario di autostrade assume una obbligazione che ha ad oggetto una prestazione consistente nella messa a disposizione dell’autostrada in condizioni (per quanto compete al gestore) da poter essere percorsa con sicurezza. Nella specie, infatti, l’evento di danno consta proprio della lesione del medesimo interesse dedotto in obbligazione (ossia l’interesse a transitare in autostrada in condizioni di sicurezza sulle quali vigila il concessionario), non venendo in esponente la distinzione tra interesse strumentale e interesse presupposto che informa la giurisprudenza in tema di facere professionale. In merito, il fatto denunciato dal danneggiato non costituisce, dunque, un evento di danno ulteriore rispetto all’inadempimento, ma è ciò che determina l’inadempimento stesso del concessionario dell’autostrada“.
Richiamando precedente decisioni, la Corte afferma infatti che: “sebbene nesso di causa ed imputazione della responsabilità non siano teoricamente coincidenti, perché un conto è collegare la condotta all’evento di danno (causalità materiale) e l’evento di danno alle conseguenze pregiudizievoli (causalità giuridica), altro conto è il criterio di valore che collega un effetto giuridico ad una determinata condotta, rappresentato, nel campo della responsabilità contrattuale, dall’inadempimento, nel caso di responsabilità di cui all’art. 1218 cod. civ. l’inadempimento si sostanzia nel mancato soddisfacimento dell’interesse dedotto in obbligazione, sicché il giudizio di causalità materiale non è di norma distinguibile praticamente da quello relativo all’inadempimento. Il che comporta che a carico del creditore della prestazione gravi soltanto l’onere di provare la causalità giuridica, mentre l’inadempimento che “assorbe” (ma non elide, sul piano concettuale, poiché – diversamente opinando – non avrebbe alcun senso la norma di cui all’art. 1227,1 e 2 comma cod. civ.) la causalità materiale deve essere solo allegato” (in tal senso, Sez. 3, Ordinanza n. 12760 del 09/05/2024, che richiama in motivazione Sez. 3, Sentenze nn. 28991 e 28992 dell’11/11/2019). Ne deriva che, nell’obbligazione contrattuale di dare o fare, il nesso causale tra condotta ed evento è oggetto di prova c.d. prima facie, fondata sulla tipicità dello svolgimento dei fatti (l’Anscheinsbeweis dell’esperienza tedesca). Non c’è, quindi, un onere gravante sul creditore di specifica allegazione (e tanto meno di prova) della causalità materiale, perché allegare l’inadempimento significa allegare anche nesso di causalità e danno evento“.
Per tali ragioni la Corte ritiene errata la ricostruzione operata dal giudice d’appello, per il quale spettava all’utente, in qualità di creditore, il compito di fornire la prova non solo dell’esistenza del danno lamentato ma anche della sua riconducibilità al fatto del debitore.
Precisa la Corte che: “deve, pertanto, farsi applicazione dei principi generali enunciati dalle Sezioni Unite della Cassazione (Sentenza n. 13533 del 30/10/2001) in tema di riparto dell’onere probatorio in caso di inadempimento della obbligazione. In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento. (Nell’affermare il principio di diritto che precede, le SS.UU. della Corte hanno ulteriormente precisato che esso trova un limite nell’ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative, nel qual caso la prova dell’inadempimento stesso è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l’adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento). In proposito, una volta che il creditore abbia fornito in giudizio la prova della fonte del rapporto obbligatorio (contrattuale ovvero legale) e abbia allegato l’inadempimento, opera il principio della c.d. “presunzione della persistenza del diritto insoddisfatto”; è onere del debitore vincere tale presunzione fornendo la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall’avvenuto adempimento ovvero dalla circostanza che l’inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile ex art. 1218 c.c.. Ciò anche alla luce del diverso principio della c.d. “riferibilità o vicinanza alla prova”, che vuole che sia colui che è più vicino alla prova a renderla in giudizio. Tale ultima regola viene estesa non solo all’inadempimento, ma anche all’inesatto adempimento, salvo il caso di obbligazioni negative (così anche Sez. 2, Sentenza n. 14895 del 29/05/2023).