Il marito di un’infermiera, violentata da un paziente ricoverato in una casa di cura, citava quest’ultima, accusandola di non aver predisposto idonee misure di sicurezza volte ad impedire la violenza sessuale ai danni della moglie, richiedendo il risarcimento dei propri danni personali derivati dalla sofferenza patita dalla moglie per la violenza sessuale subita.
Il Tribunale di Pescara, accoglieva la domanda, sul presupposto che il datore di lavoro avrebbe dovuto predisporre adeguate misure di prevenzione del comportamento doloso del paziente, riconoscendo un risarcimento al marito della donna violentata. La Corte di appello di L’Aquila tuttavia riformava tale decisione affermando che l’attore non aveva dimostrato che era obbligo della casa di cura predisporre misure idonee a prevenire il danno, in quanto prevedibile, ed indicare quali fossero tali misure. Ciò sul presupposto che, in difetto della prova di obblighi di cautela e di prevenzione specifici, la responsabilità del datore di lavoro rischia di trasformarsi in responsabilità oggettiva, addossata al datore di lavoro sulla base della mera esistenza del danno.
La Corte di Cassazione, investita dalla vicenda, con la sentenza del 2 gennaio 2025 n. 37, conferma la decisione assolutoria della Corte di appello, introducendo però una differente motivazione. Rileva infatti circostanza, trascurata in entrambi i giudizi di merito, in ordine alla qualità dell’attore: chi agisce, marito della lavoratrice, non è parte del contratto con il datore di lavoro.
Ed invero: “la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, per violazione degli obblighi di sicurezza sui luoghi di lavoro, è predicabile nei soli confronti del lavoratore, poiché costui è parte del contratto con il datore di lavoro: quest’ultimo non ha obbligazioni contrattuali di protezione nei confronti dei terzi. È infatti principio di diritto che il danno fatto valere iure proprio dai congiunti di un lavoratore, anche qualora il danno a quest’ultimo sia derivato da inadempimento del contratto di lavoro, non ha fonte per l’appunto nel contratto, ma ha titolo in una responsabilità extra contrattuale del datore di lavoro, con la conseguenza che gli oneri probatori sono quelli tipici della responsabilità extracontrattuale e non già quelli della responsabilità da inadempimento (Cass. n. 2 del 2020).
Né ovviamente può prospettarsi una responsabilità contrattuale del datore di lavoro, ricorrendo alla figura del contratto con effetti protettivi nei confronti del terzo, figura che vale per il solo caso di contratto che abbia la finalità di favorire la procreazione (Cass. 11320/ 2022; Cass. 2232 / 2024) e che, data la regola generale della efficacia del contratto limitata alle parti, non può essere estesa a qualunque terzo possa essere coinvolto dall’inadempimento.
Ne deriva quindi che l’azione intentata dal marito per un danno proprio è un’azione volta a far valere la responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro e non già quella contrattuale che quest’ultimo ha nei confronti del solo lavoratore. Con la conseguenza ulteriore che non valgono le regole sul riparto dell’onere della prova proprie della responsabilità contrattuale, e proprie di quella specifica ipotesi di responsabilità contrattuale nella quale il datore di lavoro può incorrere verso il lavoratore per la violazione degli obblighi di sicurezza sul lavoro. Vale invece la regola per cui il danneggiato deve provare la colpa del danneggiante nella determinazione dell’evento dannoso, oltre che il nesso di causa“.
Ciò significa che era a carico del terzo, in questo caso del marito della donna danneggiata, la prova che il fatto era prevedibile e che era altresì evitabile attraverso la predisposizione di determinate cautele generiche o specifiche.