L’obbligo del gestore autostradale (efficenza del guardrail)

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L’Autostrade per l’Italia impugnava avanti la Corte di Cassazione la sentenza della Corte di Appello di Ancona che aveva confermato la sentenza del Tribunale di Ancona che l’aveva condannato al risarcimento dei danni conseguiti di un sinistro mortale, cagionato dalla fuoriuscita del veicolo in una scarpata sottostante. La Corte d’Appello, richiamato l’insegnamento della Corte di Cassazione (n. 9547/2015) in materia di responsabilità ex art. 2051 cod. civ. del proprietario o gestore della strada a proposito dell’oggetto di custodia, aveva confermato la decisione del primo giudice, sulla base delle relazioni del proprio ausiliario e del consulente del Pubblico Ministero, nell’ambito del procedimento penale, che avevano sostenuto che la presenza di una barriera protettiva laterale avrebbe permesso il contenimento del moto aberrante dell’auto evitando l’esito mortale, oltre che il ribaltamento dell’autovettura a seguito della discesa lungo la scarpata, poiché l’impatto era avvenuto ad una velocità di 70 km/h, rispetto alla quale il contenimento da parte di una barriera moderna “è assicurato”.

La ricorrente assumeva che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto l’obbligo di apporre sul tratto autostradale le barriere di sicurezza previste dai DD.MM. 18.2.1992, n. 223 e 21.6.2004, n. 2367. Tali decreti si applicherebbero infatti ai “progetti relativi alla costruzione di nuovi tronchi stradali” e “all’adeguamento di tratti significativi di tronchi stradali, oppure nella ricostruzione e riqualificazione di tratti significativi di ponti e viadotti situati in posizione pericolosa per l’ambiente esterno alla strada e per l’utente stradale“. Inoltre, il D.M. 223/1992 si applicherebbe “alle domande di omologazione presentate successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso decreto“. Nessuna di tali ipotesi risulterebbe integrata nel caso esaminato dalla Corte d’Appello, né sarebbe stato effettuato al riguardo tale accertamento preliminare: l’obbligo di porre barriere di sicurezza sussisterebbe solo in presenza di tratti di strade di nuova costruzione o di strade, realizzate antecedentemente, sottoposte a significative opere di adeguamento e rifacimento. Infatti, il tronco autostradale interessato dal sinistro era stato costruito nel 1969 e fino alla data dell’incidente non era stato sottoposto a significative opere di manutenzione straordinaria.

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 14 gennaio 2025 n.882, rigetta il motivo, rilevando che: “il D.M. n. 223 del 1992, adottato previo parere del Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 17 L. 400/1988, presenta le caratteristiche stabilite per gli atti normativi del potere esecutivo qualificati come regolamenti (v. Cass. 17 ottobre 2019, n. 26295, non massimata sul punto, ma espressamente in motivazione) e si applicava ai progetti e dunque alle strade nuove, ma anche all’adeguamento di tratti significativi di tronchi stradali, sicché aveva la sostanza di assumere natura di norma precettiva – anche al di là di quanto sarebbe comunque conseguito alla diretta applicazione dell’art. 2051 c.c., non essendo concepibile che le strade vecchie restassero indifferenti – nel senso di imporre appunto l’adeguamento. All’epoca dei fatti (2005), l’articolo 2 delle istruzioni allegate al suddetto Decreto Ministeriale n. 223 del 1992 stabiliva – senza distinzioni tra tipologie di strade – che le barriere di sicurezza stradale e gli altri dispositivi di ritenuta fossero posti in opera “essenzialmente al fine di realizzare per gli utenti della strada […] accettabili condizioni di sicurezza”. Il successivo articolo 3, comma 1, primo alinea, soggiungeva che le barriere laterali dovessero proteggere “almeno i margini […] di ponti, viadotti, ponticelli, sovrappassi e muri di sostegno della carreggiata, indipendentemente dalla loro estensione longitudinale e dall’altezza dal piano di campagna”.

Ad ogni modo, la colpa del gestore autostradale può consistere sia nella violazione di norme prescrittive (colpa specifica), sia nella violazione delle regole di comune prudenza (colpa generica). Il formale rispetto delle prime non vale, dunque, ad escludere di per sé la possibilità della sussistenza d’una colpa generica del primo. Pertanto, la circostanza che per una determinata strada il D.M. n. 223 del 1992 non imponesse in astratto l’adozione di misure di sicurezza, non esimeva la ricorrente dal valutare in concreto sempre e comunque, ai sensi dell’articolo 14 Cod. strada, se quel tratto di autostrada potesse costituire un rischio per la sicurezza degli utenti (in merito all’esistenza di un obbligo precauzionale generico al di là della prescrizione dei regolamenti, vedi Cass. 5 maggio 2017, n. 10916; 29 settembre 2017, n. 22801; 27 febbraio 2019, n. 5726; 15 ottobre 2019, n. 25925; 26 settembre 2024, n. 25767).

Si consideri, ancora, che se il citato D.M. n. 223 del 1992 si applica unicamente alle strade di nuova costruzione, sarebbe assurdo trarre da ciò la conseguenza che per le strade preesistenti l’ente proprietario, o il suo gestore, possa tranquillamente disinteressarsi della sicurezza degli utenti, ignorando la necessità di imporre l’adeguamento. Infatti, l’art. 14, comma primo, Cod. strada, allo scopo di garantire la sicurezza della circolazione, attribuisce specificatamente agli enti proprietari delle strade il compito di provvedere:

a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi;

b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e delle relative pertinenze;

c) alla posizione manutenzione della segnaletica prescritta. Obblighi, questi ultimi, posti a carico dei concessionari per le strade in concessione ai sensi del comma terzo della citata norma.

L’obbligo di vigilanza e controllo, e di adottare tutte le misure idonee per rendere innocua la cosa e non arrecare danno a terzi, che trova la propria fonte già in base al dovere generale del neminem laedere, a fortiori sussiste in ipotesi di responsabilità aggravata, come quella per la custodia ex art. 2051 c.c., che costituiscono espressione di maggior favore per il danneggiato in presenza di una situazione di rischio unilaterale in quanto solo una parte (il danneggiante potenziale) ha la capacità tecnologica di ridurre l’occorrenza o la gravità degli incidenti attesi (v. Cass. 31 maggio 2023, n. 15447, che, nell’ambito della valutazione della “pericolosità” della res, ascrive agli standard regolamentari del D.M. n. 223/1992 il ruolo di regola prudenziale correlata al rischio concreto per la sicurezza degli utenti in base all’art. 14 del codice della strada)“.

Ed invero: “la Corte d’Appello, dopo aver precisato come l’ambito del potere di controllo ricadente sul custode stradale non fosse limitato alla sola carreggiata, ma si estendeva anche agli elementi accessori o pertinenze, ivi comprese eventuali barriere laterali con funzione di contenimento e protezione della sede stradale (v. Cass. 12 maggio 2015, n. 9547; 10 giugno 2020, n. 11096; 20 novembre 2020, n. 26527; 24 aprile 2024, n. 11140), ha ritenuto la ricorrente in colpa non per avere violato le prescrizioni del D.M. n. 223 del 1992 sulle barriere laterali, ma ha evidenziato, sulla base delle indicazioni della C.T.U. disposta in sede civile e di quella svolta in sede penale, che “l’installazione della barriera di sicurezza era, in ogni caso, una esigenza elementare di tutela della sicurezza stradale […] con certezza si può affermare che, in base alla normativa in vigore al momento del sinistro […] era indispensabile l’applicazione di una barriera omologata […] non essendo riscontrabile, fra l’altro, un’obiettiva ragione per cui il guard-rail esistente fino alla chilometrica 216+648.20, da questo punto si interrompe in corrispondenza del pilastro di sostegno del cavalcavia […] il guardrail si interrompe in corrispondenza del cavalcavia lasciando scoperto un tratto fiancheggiato da una scarpata altamente pericolosa”. La Corte d’Appello ha dunque accertato una colpa generica, non una colpa specifica, e nulla rileva se il D.M. n. 223 del 1992 imponesse o meno l’installazione di barriere nel luogo del sinistro. Tale specifico accertamento, si ripete in ordine alla sussistenza di una colpa generica, rende non pertinente il richiamo fatto dalla ricorrente a Cass. 6 maggio 2020, n. 8512, in quanto imperniata sul solo dato della costruzione della strada

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Avvocato Massimo Palisi - Padova

Nato a Catanzaro in data 24 aprile 1969, consegue la maturità classica (voto 60/60) e la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Padova (voto 105/110). Viene eletto per il biennio 1992/94 Segretario Nazionale della Fuci (Federazione Universitaria Cattolici Italiani).

Avvocato dal 1999, Cassazionista dal 2016, svolge la propria attività a livello nazionale, operando nell’ambito del diritto sostanziale e processuale civile, con particolare elezione per le tematiche relative alla responsabilità civile (sia in ambito contrattuale che extracontrattuale), alla tutela della persona e dei consumatori in generale (e sotto il profilo risarcitorio in particolare), al diritto del lavoro, al diritto delle assicurazione. Svolge inoltre assistenza a favore delle vittime nell’ambito delle procedure penali.

Ha deciso di non essere fiduciario di alcuna compagnia di assicurazione e/o banche, per non intaccare la propria opera di tutela nei confronti dei danneggiati e dei consumatori.

Ha collaborato, nel primo decennio del 2000, con Cittadinanzattiva Onlus, risultando membro: a) del gruppo studio “Assicurazioni ” del CNCU, istituito presso il Ministero delle Attività Produttive; b) del collegio del Nord Italia dei conciliatori istituito presso il gruppo Banca Intesa, c) del gruppo di studio istituito presso l’ANIA per l’emanazione del nuovo Codice delle Assicurazioni. Ha svolto corsi seminariali in tema assicurativo a livello nazionale, promossi e patrocinati dal Ministero delle Attività Produttive.

È stato relatore in diversi convegni giuridici di carattere nazionale.

Avvocato Evenlina Piraino - Padova

Nata a Cosenza in data 29 settembre 1981, consegue il diploma di maturità al liceo scientifico (voto 100/100) e si laurea nel 2006, presso l’Università di Cosenza (UNICAL), in giurisprudenza (voto 108/110) discutendo una tesi nell’ambito del diritto del lavoro (“Il nuovo sistema di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: Decreto Legislativo n. 38/2000′) e del diritto assicurativo (“Il sistema assicurativo sociale in ambito europeo”).

È avvocato dal 2009; fa parte dello studio dal 2013. Si occupa prevalentemente di diritto civile, sostanziale e processuale, diritto del lavoro, diritto di famiglia, procedure stragiudiziali e di mediazione. Nell’ambito della materia di elezione dello studio legale, si interessa in particolare degli istituti di responsabilità civile speciale, di quello di natura professionale, oltre alla tutela degli animali e dell’ambiente, a vantaggio del quale svolge anche attività di volontariato sociale.

È attiva nell’ambito del diritto di famiglia e della tutela dei minori, nonché della tutela dei diritti della persona in generale, dei consumatori e della proprietà intellettuale.

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