La ricorrente si rivolgeva alla Corte di Cassazione, lamentando il mancato riconoscimento, in sede di merito, del nesso causale tra l’accertata responsabilità professionale del consulente contabile e la grave patologia ansioso-depressiva (shock tributario) insorta a causa degli accertamenti tributari subiti, non adeguatamente valutata anche ai fini dell’ammissione della CTU medicolegale.
La Corte di Cassazione, nel rigettare la domanda, con la sentenza del 16 gennaio 2025 n. 1036, rileva che: “sotto il profilo della dedotta responsabilità contrattuale, il giudice ha considerato che il maggior danno dedotto non rientrava, sotto il profilo eziologico, nella prevedibilità richiesta dall’art. 1225 c.c., la quale a livello contrattuale si risolve in un giudizio astratto di probabilità del verificarsi di un futuro evento, secondo un parametro di normale diligenza del soggetto tenuto ad adempiere la propria obbligazione. Ragionando sulla base dei criteri sopra descritti, il giudice, secondo il suo prudente apprezzamento, ha ritenuto, da un lato, che il danno attribuibile all’inadempimento del professionista per le omissioni tributarie accertate fosse di gran lunga minore, sotto il profilo causale, rispetto a quello invocabile dall’attrice, proprio in relazione alla nozione di normale prevedibilità del medesimo, non avendo la vicenda avuto alcun risvolto penale, sì da poter scatenare una reazione psicologica simile a quella dedotta; dall’ altro, ha ritenuto, proprio in ragione dell’inadempimento accertato, che il danno ricollegabile all’inadempimento del professionista incaricato di redigere la dichiarazione dei redditi fosse considerabile in relazione alle esigue sanzioni patrimoniali irrogate alla contribuente per ripianare l’omissione contributiva, per la restante maggior parte restando detto onere comunque a carico della contribuente, restando fuori dall’abito del danno prevedibile il grave danno permanente alla persona o la perdita della capacità lavorativa, e ciò anche secondo un criterio di proporzionalità“.
Più in generale la Corte sottolinea che: “la prevedibilità, alla quale fa riferimento l’art. 1225 c.c. per limitare il danno da responsabilità contrattuale, se non dipeso da dolo del debitore, costituisce un limite giuridico non all’esistenza ontologica del danno, ma alla misura del risarcimento pretendibile, essendo esso riferito al danno prevedibile non dall’ottica dello specifico debitore e delle sue particolati sensibilità, bensì avendo riguardo alla prevedibilità astratta inerente a una determinata categoria di rapporti contrattuali, sulla scorta delle regole ordinarie di comportamento dei soggetti economici, secondo un criterio di normalità e di comune esperienza in rapporto all’inadempimento da cui origina e alle circostanze di fatto conosciute. Inoltre, essendo quello della prevedibilità “in astratto” del danno risarcibile – da valutarsi al tempo in cui è sorta l’obbligazione – un accertamento in fatto spettante al giudice di merito, quest’ultimo è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (Cass. civ., Sez. II, 14/11/2019 n. 29566; Cass. Civ., Sez. Lav., 31/7/2014 n. 17460; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15639 del 18/09/2012; Cass. Civ., Sez. III, 15/5/2007 n.11189; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16091 del 27/10/2003; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3102 del 17/03/2000).
Il danno conseguente all’inadempimento contrattuale, in sintesi, deve essere idealmente ricollegabile, alla stregua di criteri obiettivi di prevedibilità, all’inadempimento da cui deriva, secondo un apprezzamento di fatto demandato al giudice del merito. La considerazione del giudice di merito circa la non prevedibilità dell’ulteriore maggior danno dedotto, perché non rientrante nella normale alea del contratto di consulenza contabile e tributaria stipulato tra le parti, per quanto sopra detto, non è certamente connesso alla mancata considerazione, o sottovalutazione, del grave impatto psicologico determinatosi sulla persona della ricorrente, ma al fatto che il suddetto danno non si giustifica in relazione al rapporto contrattuale intrattenuto e all’entità dell’ effettivo inadempimento accertato: tale giudizio è insindacabile in tale sede, già solo considerando che la norma di cui all’art. 1225 c.c. è stata correttamente richiamata e applicata, mentre la censura coinvolge, piuttosto, l’esito di una valutazione in fatto“.