I genitori di un figlio disabile invocavano, davanti il Tribunale di Brindisi, la condanna al risarcimento dei danni derivati da inadeguata e negligente prestazione professionale del medico durante la gravidanza della madre, il quale, non avvedendosi delle gravi malformazioni congenite che il nascituro presentava, non aveva consentito alla stessa, ove opportunamente informata, di valutare se procedere o meno, alla interruzione della gravidanza, cagionando al nato quindi il danno per la sua nascita indesiderata e del diritto a nascere sano
Il Tribunale, pur riconoscendo la censurabilità dell’operato del sanitario e la sua responsabilità nei confronti dei genitori del nato, rigettava la domanda avanzata dal figlio ravvisando un difetto di legittimazione ad agire, non potendosi configurare in capo al figlio un danno da nascita indesiderata sulla scorta della sentenza di questa Corte, a Sezioni unite, 22/12/2015, n. 25767, cui aderiva.
La Corte di Cassazione (sentenza dell’11 febbraio 2025 n. 3502) rigetta il ricorso avanzato contro la decisione della Corte di Appello, che aveva confermato il rifiuto emesso dal Tribunale, ritenendo non fondata la pretesa del diritto di richiedere ed ottenere l’invocato ristoro a favore del figlio, in considerazione delle precarie condizioni di vita che è costretto a vivere.
Ed invero rammenta che alla luce dell’orientamento, già citato dal Tribunale: “è stata esclusa in via generale la possibilità di riconoscere un pregiudizio biologico e relazionale in capo al figlio, essendo per lui l’alternativa quella di non nascere, inconfigurabile come diritto in sé, neppure sotto il profilo dell’interesse ad avere un ambiente familiare preparato ad accoglierlo (Cass. Sez. U, 22/12/2015 n. 25767). È stato inoltre chiarito che il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno consistente nella sua stessa condizione, giacché l’ordinamento non conosce il “diritto a non nascere se non sano”, né la vita del nato può integrare un danno-conseguenza dell’illecito del medico (Cass., Sez. 3, n. 26426 del 2020). L’orientamento è stato ribadito anche di recente con l’osservare che “come dalle Sezioni Unite di questa Corte precisato non ne è invero in radice data la stessa configurabilità in quanto “la ragione di danno da valutare sotto il profilo dell’inserimento del nato in un ambiente familiare nella migliore delle ipotesi non preparato ad accoglierlo” rivela sostanzialmente quale mero “mimetismo verbale del c.d. diritto a non nascere se non sani”, andando pertanto “incontro alla… obiezione dell’incomparabilità della sofferenza, anche da mancanza di amore familiare, con l’unica alternativa ipotizzabile, rappresentata dall’interruzione della gravidanza” non essendo d’altro canto possibile stabilire un “nesso causale” tra la condotta colposa del medico e le “sofferenze psicofisiche cui il figlio è destinato nel corso della sua vita” (Cass. n. 25767/2015 cit.)”(così testual. Cass. Sez. 3, 11/04/2017 n. 9251)“.