Il risarcimento a seguito di eccesso colposo di difesa

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A seguito dell’uccisione di un passante, da parte di una pattuglia della Polizia di Stato, il giudice penale aveva reputato che, pur venendo in considerazione, nella fattispecie, i presupposti di due cause di giustificazione, la legittima difesa e l’uso legittimo delle armi (in quanto i poliziotti avevano, per un verso, il diritto di tutelare la propria vita e integrità fisica dall’aggressore e, per l’altro, il dovere di prevenire eventuali azioni illecite di quest’ultimo, respingendo la violenza da lui posta in essere), tuttavia, in concreto, sia il pericolo per la vita e l’integrità fisica dei poliziotti, sia quello per la tutela dell’ordine e dell’incolumità pubblici apparivano molto limitati se non inesistenti: il primo, perché, a fronte della situazione in cui si era trovato l’aggressore (rannicchiato senza riparo in mezzo alla carreggiata e abbagliato dai fari dell’automobile dei poliziotti), questi ultimi erano invece riparati dagli sportelli blindati e avevano una perfetta visuale della sagoma dell’uomo; il secondo, perché, a causa dell’ora notturna, non vi era traffico pedonale e veicolare ed era quindi impossibile che l’aggressore commettesse atti dannosi nei confronti di terze persone. Ciò posto in fatto, il giudice penale aveva ritenuto, in diritto, che si fosse integrato l’eccesso colposo nelle cause di giustificazione, per evidente insussistenza del necessario requisito della proporzione tra la condotta offensiva e violenta dell’aggressore e la condotta difensiva e respingente dei pubblici ufficiali. Oltre ad irrogare la pena per il delitto di omicidio colposo commesso eccedendo nelle suddette scriminanti, il giudice penale aveva condannato i poliziotti al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, limitandosi tuttavia alla condanna generica con provvisionale e rimettendone la liquidazione in sede civile

La Corte di Appello di Catania, riformando la sentenza emessa dal Tribunale della città etnea, aveva accolto lo specifico il motivo di gravame proposto dal Ministero dell’Interno, concernente l’omesso accertamento del concorrente fatto colposo del danneggiato. La Corte territoriale, precisamente, reputava il concorso di colpa della vittima, in applicazione del principio di diritto secondo cui, nell’ipotesi di danno causato per eccesso colposo di legittima difesa, non è consentito relegare al ruolo di semplice occasione rispetto alla produzione dell’evento l’azione antigiuridica che ha determinato l’azione difensiva dell’aggredito danneggiante, giacché, in tale ipotesi, ricorre una azione necessitata dall’esigenza di respingere l’ingiusta offesa altrui e, avuto riguardo a codesto indissolubile legame fra offesa ingiusta altrui ed eccesso colposo nella difesa, alla prima va riconosciuto il carattere di causa concorrente nel processo eziologico che ha determinato l’evento dannoso a carico dell’autore dell’offesa ingiusta (cfr. Cass. Civ. n. 3394/68). La Corte territoriale ha quindi valutato l’incidenza causale del fatto colposo concorrente nella misura del 50%, conseguentemente dimidiando l’entità della somma liquidata dal primo giudice a titolo risarcitorio.

La Corte di Cassazione (sentenza del 5 febbraio 2025 n. 2847) affronta la questione di diritto, di carattere generale, della applicabilità della disciplina di cui all’art. 1227, primo comma, cod. civ. all’azione violenta o alla condotta di resistenza per respingere o vincere le quali il pubblico ufficiale ricorra alle armi o ad altro mezzo di coazione fisica ai sensi dell’art. 53 cod. pen., peraltro eccedendo in tale uso, cosi commettendo il delitto colposo previsto dall’art. 55 cod. pen., in combinato disposto con la norma penale incriminatrice concretamente violata. E nel farlo procede alla ricognizione del fondamento del principio sancito dall’art. 1227, primo comma, cod. civ., il quale, secondo la prevalsa tesi dottrinale, seguita dalla giurisprudenza (ex aliis, Cass. n. 6988 del 2003; Cass. n. 10607 del 2010; Cass. n. 4208 del 2017), va ricondotto: “non già al profilo soggettivo dell”autoresponsabilità (evocata talora in letteratura anche con l’improprio riferimento alla cc.dd. compensazione delle colpe), bensì al profilo oggettivo della causalità, in quanto rispondente all’esigenza che al danneggiante non faccia carico il danno per quella parte che non è a lui causalmente imputabile, per essere stata prodotta dal fatto (appunto, concorrente) del danneggiato“.

La Corte precisa infatti che: “il requisito della colpa, pure richiesto dalla norma, non va riguardato, pertanto, come criterio di imputabilità del fatto illecito – in thesi – commesso dal danneggiato contro sé stesso, bensì come mero (e, tuttavia, imprescindibile) requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato. Se, dunque, ai fini della riduzione del risarcimento, occorre l’accertamento che il danno-evento sia stato in parte causato dal fatto (colposo) del danneggiato, nell’ipotesi in cui il fatto illecito posto in essere dal danneggiante costituisca la reazione non autorizzata dalla legge (o eccedente i limiti di tale autorizzazione) ad una precedente azione illecita posta in essere dalla vittima, occorrerà che la prima si ponga in una relazione di regolarità causale con la seconda, giacché, in mancanza di tale rapporto, la reazione si porrebbe quale causa autonoma dell’evento dannoso, escludendo il nesso di causalità tra questo e la precedente azione della vittima (arg. ex art. 41, secondo comma, cod. pen.)“.

In applicazione di questi principi, il Collegio rammenta che: “la giurisprudenza di questa Corte suole distinguere l’ipotesi della provocazione da quella dell’azione aggressiva posta in essere dalla persona offesa dal reato. Alla prima non è applicabile l’art.1227, primo comma, cod. civ., in quanto la condotta di reazione penalmente illecita del provocato (pur attenuata dalla circostanza della provocazione) costituisce effetto di libera determinazione e non integra la conseguenza normale (e men che meno necessitata) dell’azione del provocatore; essa, pertanto, configura una causa sopravvenuta autonoma di per sé sufficiente a produrre l’evento dannoso, rispetto al quale la provocazione costituisce un mero antecedente o condizione occasionale (ex multis, Cass. n. 3447 del 1975; Cass. n. 20137 del 2005; Cass. n. 5679 del 2016; Cass. n. 23024 del 2024). Invece, all’azione aggressiva di colui che resti danneggiato dalla reazione dell’aggredito, concretante eccesso colposo nella legittima difesa (artt. 52 e 55 cod. pen.), l’art. 1227, primo comma, cod. civ. è applicabile, dal momento che la reazione difensiva dell’aggredito non è frutto di libera elezione, ma è necessitata dall’esigenza di respingere l’offesa ingiusta ricevuta; pertanto, il fatto dell’aggressore danneggiato si pone in rapporto di causalità rispetto all’evento dannoso, come fattore concorrente alla sua produzione, ed è, quindi, valutabile ai fini di una diminuzione del risarcimento (ex multis, Cass. n. 2425 del 1975; Cass. n. 3445 del 1975; Cass. n. 2956 del 1988; Cass. n. 6009 del 2007)“.

Tali principi: “vanno applicati anche in relazione all’azione violenta o resistente costituente il presupposto della scriminante dell’uso legittimo delle armi quale esimente propria del pubblico ufficiale (art. 53 cod. pen.), quando questi, nel reagire alla predetta azione, abbia ecceduto colposamente in tale uso (art. 55 cod. pen.). Al riguardo va ricordato che, secondo la tesi prevalente, lo scopo dell’art. 53 cod. pen. non è la tutela del mero prestigio della pubblica autorità, bensì l’assicurazione dell’adempimento dei pubblici doveri, quale espressione del “buon andamento” della pubblica amministrazione, riconosciuto dall’art. 97 Cost. Ciò spiega l’accostamento, da parte di autorevole dottrina penalistica, della scriminante in esame a quella dell’adempimento del dovere di cui all’art. 51 cod. pen., sebbene con funzione specificativa e integrativa di quest’ultima circostanza di esclusione del reato. In ragione del detto scopo, l’uso legittimo delle armi postula, per un verso, la sussistenza di una situazione impediente l’adempimento del pubblico dovere (ovverosia, una condotta attuale di violenza lato sensu, comprensiva della minaccia, oppure di resistenza all’autorità) e, per altro verso, la necessità di reagire con l’uso di armi o di altri mezzi coercitivi per respingere la violenza o vincere la resistenza, rendendo così possibile l’adempimento del dovere medesimo. Nella sussistenza di tali circostanze – allorché, cioè, il pubblico ufficiale si trovi nell’alternativa di rimuovere con le armi la violenza o la resistenza impedienti l’adempimento del dovere oppure di non adempiere al dovere medesimo – l‘uso delle armi (o degli altri mezzi coercitivi) non è discrezionale ma è doveroso, poiché non è altrimenti evitabile il fatto ostativo al detto adempimento, pur dovendo ovviamente rispettarsi il requisito della proporzione tra l’interesse leso e quello che l’adempimento del dovere d’ufficio tende a soddisfare“.

Avuto riguardo allo scopo e ai presupposti della scriminante, nell’ipotesi di eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi, la connessione di regolarità causale sussistente tra la violenza (o la resistenza) della vittima e la reazione eccessiva del pubblico ufficiale risalta in modo ancor più evidente di quanto non accada nell’ipotesi di eccesso colposo nella legittima difesa con riguardo al rapporto tra la reazione dell’aggredito e l’offesa ingiusta subita. In entrambi i casi, infatti, la reazione dell’autore del reato alla condotta illecita tenuta dalla vittima non costituisce, diversamente dalla reazione del provocato, frutto di libera elezione. Tuttavia, mentre nell’ipotesi della legittima difesa è ammessa la fuga (la quale, anzi, in determinati casi – come nell’ipotesi del commodus discessus – è persino necessaria, in quanto la possibilità dell’agevole e non rischiosa fuga esclude la necessità di difendersi: cfr. già Cass. pen. n. 3571 del 1982 e, più recentemente, Cass. pen. n. 4890 del 2008, nonché, da ultimo, Cass. pen. n. 21577 del 2024) ed è previsto il carattere meramente facoltativo del soccorso difensivo (arg. ex comb. disp. artt. 52 e 593 cod. pen.), l’uso delle armi – nel rispetto del surrichiamato requisito della proporzione – è sempre doveroso e non è ovviamente ammessa la fuga del pubblico ufficiale dinanzi alla violenza o resistenza impedienti l’adempimento del pubblico dovere.

La circostanza che la reazione del pubblico ufficiale alla condotta illecita (violenta o resistente) posta in essere dalla persona offesa dal reato commesso con eccesso colposo dei limiti della scriminante di cui all’art.53 cod. pen. sia assolutamente necessitata, impone di riconoscere l’esistenza di una connessione di regolarità causale tra le dette condotte, dovendosi così escludere che quella del pubblico ufficiale integri un fatto sopravvenuto di per sé sufficiente a provocare l’evento dannoso subìto dalla vittima e dovendosi al contrario ritenere che il fatto di quest’ultima si ponga in rapporto di causalità rispetto al medesimo evento dannoso, come fattore concorrente alla sua produzione, e, pertanto, valutabile ai fini di una diminuzione del risarcimento“.

Nel caso di specie, la condotta di violenza psichica tenuta dalla vittima mediante l’assunzione del contegno minaccioso aggravato dall’uso di un’arma, aveva reso doverosa la reazione dei pubblici ufficiali, diretta a vincere la violenza medesima in funzione dell’adempimento del dovere di disarmarlo ed arrestarlo. Il carattere eccessivo di tale reazione – effettuata in spregio all’imprescindibile requisito della proporzionalità – non aveva tuttavia escluso il nesso di regolarità causale esistente tra essa e la precedente azione violenta del defunto , la quale, assumendo in astratto la natura di causa mediata dell’evento dannoso a quegli successivamente cagionato. Quindi -conclude la Suprema Corte- correttamente la Corte catanese ha considerato applicabile la art. 1227, primo comma, cod. civ..

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Avvocato Massimo Palisi - Padova

Nato a Catanzaro in data 24 aprile 1969, consegue la maturità classica (voto 60/60) e la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Padova (voto 105/110). Viene eletto per il biennio 1992/94 Segretario Nazionale della Fuci (Federazione Universitaria Cattolici Italiani).

Avvocato dal 1999, Cassazionista dal 2016, svolge la propria attività a livello nazionale, operando nell’ambito del diritto sostanziale e processuale civile, con particolare elezione per le tematiche relative alla responsabilità civile (sia in ambito contrattuale che extracontrattuale), alla tutela della persona e dei consumatori in generale (e sotto il profilo risarcitorio in particolare), al diritto del lavoro, al diritto delle assicurazione. Svolge inoltre assistenza a favore delle vittime nell’ambito delle procedure penali.

Ha deciso di non essere fiduciario di alcuna compagnia di assicurazione e/o banche, per non intaccare la propria opera di tutela nei confronti dei danneggiati e dei consumatori.

Ha collaborato, nel primo decennio del 2000, con Cittadinanzattiva Onlus, risultando membro: a) del gruppo studio “Assicurazioni ” del CNCU, istituito presso il Ministero delle Attività Produttive; b) del collegio del Nord Italia dei conciliatori istituito presso il gruppo Banca Intesa, c) del gruppo di studio istituito presso l’ANIA per l’emanazione del nuovo Codice delle Assicurazioni. Ha svolto corsi seminariali in tema assicurativo a livello nazionale, promossi e patrocinati dal Ministero delle Attività Produttive.

È stato relatore in diversi convegni giuridici di carattere nazionale.

Avvocato Evenlina Piraino - Padova

Nata a Cosenza in data 29 settembre 1981, consegue il diploma di maturità al liceo scientifico (voto 100/100) e si laurea nel 2006, presso l’Università di Cosenza (UNICAL), in giurisprudenza (voto 108/110) discutendo una tesi nell’ambito del diritto del lavoro (“Il nuovo sistema di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: Decreto Legislativo n. 38/2000′) e del diritto assicurativo (“Il sistema assicurativo sociale in ambito europeo”).

È avvocato dal 2009; fa parte dello studio dal 2013. Si occupa prevalentemente di diritto civile, sostanziale e processuale, diritto del lavoro, diritto di famiglia, procedure stragiudiziali e di mediazione. Nell’ambito della materia di elezione dello studio legale, si interessa in particolare degli istituti di responsabilità civile speciale, di quello di natura professionale, oltre alla tutela degli animali e dell’ambiente, a vantaggio del quale svolge anche attività di volontariato sociale.

È attiva nell’ambito del diritto di famiglia e della tutela dei minori, nonché della tutela dei diritti della persona in generale, dei consumatori e della proprietà intellettuale.

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