Alcuni creditori dell’ASL NAPOLI 2 evocavano in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli, l’Amministrazione dello Stato, Repubblica italiana, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della Giustizia, chiedendone la condanna per i danni che avevano subito in conseguenza dei rinvii reiterati dei procedimenti esecutivi e della estinzione di tali procedimenti instaurati dagli attori contro la Asl Napoli 2 Nord ed imposti da norme di legge. Deducevano di essere creditori dell’azienda sanitaria in ragione di un decreto ingiuntivo del 2009 non opposto, di avere proposto azioni esecutive nel mese di maggio 2011 e che il legislatore nazionale aveva ritardato tali procedure con legge n. 191 del 2009, articolo 2 e successive norme del 2011 e del 2012 e che la Corte costituzionale, con sentenza 186 del 2013 aveva riconosciuto l’irragionevolezza delle norme censurate. Alla luce di ciò chiedevano il risarcimento o l’indennizzo per la illegittima attività normativa dello Stato italiano.Con il primo motivo si deduce, con riferimento all’articolo 360 n. 3 c.p.c., la configurabilità della responsabilità del legislatore ai sensi dell’articolo 2043 c.c. alla luce delle norme costituzionali attributive di un diritto, in particolare quello definito dall’articolo 24 della Costituzione e dall’articolo 6 della CEDU.
Sia il Tribunale di Napoli, che la Corte di Napoli, rigettano la richiesta, e così fa pure la Corte di Cassazione (sentenza del 19 febbraio 2025 n.4351). Articolata la motivazione a fronte del rifiuto opposto ai motivi formulati.
“Questa Corte intende dare continuità all’orientamento della giurisprudenza di legittimità ferma nell’escludere una responsabilità da illecito per cattivo esercizio della funzione legislativa, condividendosi i precedenti illustrati nella sentenza impugnata: Cass. n. 34465 del 2019, in cui si afferma che la funzione legislativa espressa dal potere politico è sottratta al sindacato giurisdizionale con esclusione di un danno risarcibile da promulgazione della legge; Cass. n. 23730 del 2016, che distingue tra responsabilità indennitaria dello Stato inadempiente rispetto all’ordinamento comunitario, rispetto a quella non configurabile nel caso di attività legislativa all’interno dell’ordinamento nazionale. Come correttamente evidenziato dal giudice di appello il procedimento in esame attiene ad una fattispecie differente rispetto alle ipotesi di responsabilità dello Stato per inadempimento degli obblighi comunitari (qualificata “di natura indennitaria per attività non antigiuridica” in ragione della distinzione tra ordinamento giuridico interno ed ordinamento unionale, ai fini della qualificazione dell’evento lesivo). Solo nel caso di ritardata o mancata attuazione di obblighi comunitari è possibile, invero, rinvenire il presupposto normativo alla responsabilità dello Stato-legislatore, con correlato diritto del singolo attivabile direttamente dinanzi all’autorità giudiziaria. Il diverso approccio alle tematiche della responsabilità da legge incostituzionale e legge contraria ai principi eurounitari trova la propria ratio nella sentenza Francovich e nelle successive, fra cui Corte giust. Ue, 7 agosto 2018, causa C-122/17, Smith; Corte giust. Ue, 16 maggio 2019, causa C-509/17, Plessers. Infatti, l’ipotesi di normativa interna contraria a quella comunitaria si giustifica con la necessità di contrastare condotte violative del diritto eurounitario poste in essere dagli Stati membri, prescindendo dalle articolazioni interne allo Stato-apparato (potere legislativo, amministrativo e giudiziario). Tali esigenze non riguardano il caso in esame.
In particolare, occorre prendere le mosse dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 9147 del 17 aprile 2009, che ha definito una forma di “responsabilità” derivante da “un’obbligazione ex lege, di natura indennitaria”, soggetta al regime dell’articolo 1218 cod. civ. Pur nella complessità del ragionamento che assiste questa decisione delle Sezioni Unite il nucleo centrale della argomentazione si fonda sulla considerazione che non sarebbe possibile qualificare in termini di antigiuridicità l’attività legislativa e che, conseguentemente, l’obbligazione dello Stato ha, in questi casi, natura essenzialmente indennitaria. La questione esaminata riguardava il diverso ambito dell’omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi). In tal caso, sorge il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto allo schema della natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario, ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno.
Con specifico riferimento alla responsabilità da illecito per cattivo esercizio della funzione legislativa, questa Corte ha affermato il condivisibile principio “dell’insindacabilità dell’attività esplicativa di funzioni legislative, in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale di legge“. La questione riguardava la normativa regionale, per violazione della potestà legislativa statale, ritenendo non ipotizzabile alcun danno risarcibile, a differenza di quanto previsto per la responsabilità dello Stato italiano nell’ipotesi di violazione del diritto dell’Unione europea, non essendo ravvisabile, nella specie, quella distinzione tra ordinamenti – con prevalenza di uno sull’altro – che costituisce il fondamento di tale ipotesi di responsabilità (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 23730 del 22/11/2016, Rv. 642991 – 01). Negli stessi termini, tre anni più tardi, questa Corte ha ribadito che “nel caso di norma dichiarata incostituzionale, deve escludersi una responsabilità per “illecito costituzionale”, rilevante sul piano risarcitorio, dell’organo governativo che ha presentato il relativo disegno di legge, e dato impulso all’iter parlamentare sfociato nella pubblicazione della norma espunta dall’ordinamento per contrasto con la Costituzione, in quanto, essendo la funzione legislativa espressione di un potere politico, incoercibile e sottratto al sindacato giurisdizionale, rispetto ad esso non possono configurarsi situazioni giuridiche soggettive dei singoli protette dall’ordinamento” (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 34465 del 24/12/2019 (Rv. 656403 – 01).
Riguardo al tema specifico (oggetto del presente giudizio) della configurabilità di una responsabilità ai sensi dell’articolo 2043 c.c. da parte del legislatore per l’emanazione di norme ritenute incostituzionali Cass. 13 dicembre 2021, n. 39534 ha precisato che “a fronte della libertà della funzione politica legislativa (artt. 68, comma 1, 122, comma 4, Cost.), non è ravvisabile un’ingiustizia che possa qualificare il danno allegato in termini di illecito, né si può arrivare a fondare il diritto al risarcimento, dovendo escludersi, nell’ordinamento italiano, il diritto soggettivo del singolo all’esercizio del potere legislativo, il quale è libero nei fini e sottratto, perciò, a qualsiasi sindacato giurisdizionale, né può qualificarsi in termini di illecito da imputare allo Stato-persona, ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ., una determinata conformazione dello stato-ordinamento“. Pertanto, nel caso di norma dichiarata incostituzionale, deve escludersi una responsabilità per illecito costituzionale, rilevante sul piano risarcitorio, in ragione dell’emanazione della norma espunta dall’ordinamento per contrasto con la Costituzione, in quanto, essendo la funzione legislativa espressione di un potere politico, incoercibile e sottratto al sindacato giurisdizionale, rispetto ad esso non possono configurarsi situazioni giuridiche soggettive dei singoli, protette dall’ordinamento.
Sebbene nel sistema delineato dalla Costituzione la discrezionalità del legislatore non sia assoluta, bensì limitata dal controllo accentrato di costituzionalità, tuttavia è proprio quel sistema che esclude che le norme costituzionali sulle scelte del legislatore possano attribuire direttamente al singolo diritti la cui violazione sia fonte di responsabilità da far valere dinanzi all’autorità giudiziaria. Il principio secondo cui la funzione legislativa è espressione di un potere politico, incoercibile e sottratto al sindacato giurisdizionale è oggetto della decisione delle Sezioni unite di questa Corte (Ordinanza n. 15058 del 29/05/2023, Rv. 668093) secondo cui sulla domanda proposta nei confronti dello Stato italiano per il risarcimento dei danni derivanti dalla mancanza di una disciplina normativa per la tutela della maternità delle donne avvocato vi è difetto assoluto di giurisdizione, poiché essa comporta non già la delibazione di una posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, ma un sindacato sulla sfera riservata dalla Costituzione allo Stato legislatore. In motivazione si legge che l’esercizio della funzione legislativa esula dall’ambito della giurisdizione, sia del giudice ordinario che del giudice amministrativo, in quanto al giudice non compete sindacare il modo in cui lo Stato esplica le proprie funzioni sovrane, funzioni in rapporto alle quali non è dato configurare una situazione di interesse protetto a che gli atti in cui esse si manifestano assumano o non assumano un determinato contenuto. Negli stessi termini anche la giurisprudenza amministrativa. Consiglio di Stato sez. IV, 04/05/2023, n.4523 richiama i principi coerenti con l’indirizzo tradizionale anche di legittimità (Cons. Stato, Sez. V, n. 4642/2021; Cass civ., n. 39534/2021), secondo cui “la funzione legislativa, essenzialmente “politica”, è per definizione – salvi i limiti costituzionali – “libera nei fini”: ne segue la naturale insussistenza di una possibile qualificazione del danno come “ingiusto”, perché – diversamente che di fronte all’azione amministrativa – davanti all’attività legislativa non vi sono situazioni soggettive dei singoli protette dall’ordinamento“.