I ricorrenti lamentavano l’erronea valutazione, operata dalla Corte di Appello, con riferimento alla loro legittimazione attiva riguardo alla domanda di risarcimento avanzata iure hereditatis in relazione alla posizione del padre del lavoratore deceduto. Ed invero la corte territoriale rilevando che “fondatamente” il primo giudice aveva “escluso la sufficienza sul punto della produzione di … certificazione tradotta di morte di Il. (sic) Ir. e dichiarazione di chiamati all’eredità“, in quanto “la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione, mediante “aditio” oppure per effetto di “pro herede gestio”“, non potendosi ciò presumere “dalla mera chiamata all’eredità“, l’esercizio di un’azione risarcitoria – e quindi anche il rilascio della relativa procura – non integrando un atto implicante la volontà di accettare l’eredità in quanto non rientrante fra gli atti di cui all’articolo 477 c.c. Corrisponde al contenuto dell’articolo 477 c.c. la mancata inclusione, tra gli atti che importano accettazione dell’eredità, di un’azione giudiziale, a ciò essendo circoscritti la donazione, la vendita o la cessione dei diritti di successione a un estraneo o a tutti gli altri chiamati o ad alcuni dei chiamati.
La Corte di Cassazione (sentenza dd. 11 marzo 2025 n. 6499) rileva correttamente che i ricorrenti invocavano il realtà l’articolo 476 c.c., che regola in generale l’accettazione tacita (e non l’art. 477 c.c.), che si verifica “quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede“.
In particolare il Collegio afferma che: “la non massimata Cass. sez. 3, ord. 11 gennaio 2021 n. 210 afferma nella sua motivazione: “nel caso di azione proposta da un soggetto che si qualifichi erede in virtù di un determinato rapporto parentale o di coniugio, la produzione del certificato dello stato di famiglia è idonea a dimostrare l’allegata relazione familiare e, dunque, la qualità di soggetto che deve ritenersi chiamato all’eredità, ma non anche la qualità di erede, posto che essa deriva dall’accettazione espressa o tacita, non evincibile dal certificato; tuttavia, tale produzione, unitamente alla allegazione della qualità di erede, costituisce una presunzione iuris tantum dell’intervenuta accettazione tacita dell’eredità, atteso che l’esercizio dell’azione giudiziale da parte di un soggetto che si deve considerare chiamato all’eredità, e che si proclami erede, va considerato come atto espressivo di siffatta accettazione e, quindi, è idoneo a considerare dimostrata la qualità di erede (Cass. 26/06/2018, n. 16814)” Questa giurisprudenza (Cass. sez. 3, ord. 26 giugno 2018 n. 16814) trova in effetti sostegno e conferma in una serie di ulteriori arresti per fattispecie identiche (esercizio di azione) o analoghe (riassunzione del giudizio interrotto per il decesso del de cuius), precedenti – come, tra i più prossimi, Cass. sez. 2, ord. 6 giugno 2018 n. 14499, Cass. sez. 2, ord. 24 aprile 2018 n. 10060, Cass. sez. 3, 1 luglio 2005 n. 14081 – e di conferma successiva – come la recentissima Cass. sez. 2, ord. 4 luglio 2024 n. 18294“. È poi evidentemente incongrua l’argomentazione del giudice d’appello, che attribuisce l’onere di dimostrare la qualità di erede nel senso che questa “non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità”, laddove la questione era insorta per la legittimazione attiva di chi aveva esercitato l’azione risarcitoria, e quindi non si era certo arrestato alla “mera chiamata all’eredità“.