Recentemente in una comparsa avversaria, in un caso di sinistro mortale, il collega della compagnia di assicurazione, ha scritto: “si nega e si contesta espressamente che gli odierni attori avessero una solida e costante relazione affettiva con la defunta“. Contestazione del tutto gratuita in quanto minimamente giustificata dalla realtà delle cose. Parole buttate lì, senza alcuna grazia e senza alcuna prova. Non si vuole ovviamente pensare di limitare l’esigenza difensiva di una controparte, ma sarebbe opportuno che una tale facoltà fosse sempre coniugata con la responsabilità della ricerca probatoria ed un minimo di sensibilità umana. E’ evidente che una simile affermazione, letta dai familiari della defunta, non farà che aggiungere, in maniera del tutto gratuita, dolore al dolore.
E le parole -come ammoniva Carlo Levi- sono pietre.
Qualche giorno fa, il senatore di di Forza Italia Mario Occhiuto ha rilasciato a Il Giornale, a circa due mesi dalla tragica morte del figlio Francesco, un’intervista. “Ho un pensiero fisso: ricongiungermi a lui“. Sopravvivere alla morte di un figlio è l’evento più tragico cui si possa essere chiamati a vivere, perché è contraria all’ordine naturale delle cose. Occhiuto cita Hugo, sentendosi “come un chicco di grano nella macina, mentre la macina gira. So che questo dolore durerà per sempre. Il dolore è costante, il pensiero è costante. E io non voglio che si affievolisca. Lo difendo questo dolore. Se avessi potuto io avrei voluto essere al suo posto. L’amore che avevo con lui era speciale, indescrivibile“. Anche queste sono parole, è vero, ma forgiate nel crogiolo dell’anima e non distrattamente pronunciate per un semplice fine strumentale