La Corte di Cassazione (sentenza del 2 aprile 2025 n. 9103, rammenta, richiamando il proprio precedente orientamento (Cass. n. 25119/2017; Cass. n. 2472 / 2021; Cass. n. 19372/2021; Cass. 21530/2021; Cass. n. 16199/2024), che: “in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l’accertamento del nesso causale in caso di condotta omissiva – da compiersi secondo la regola del “più probabile che non” ovvero della “evidenza del probabile”- si sostanzia nello stabilire se il comportamento doveroso che l’agente avrebbe dovuto tenere sarebbe stato in grado di impedire, o meno, l’evento lesivo, tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto nella loro irripetibile singolarità, giudizio da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità statistica o pascaliana), ma anche all’ambito degli elementi di conferma e, nel contempo, nell’esclusione di quelli alternativi, disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana)“.
Nello specifico caso trattato, la Corte rileva che il giudice di secondo grado aveva accertato che: “al paziente, in sede di pre-ricovero, era stata prescritta dalla stessa struttura sanitaria dove poi venne effettuato l’intervento chirurgico la somministrazione di seleparina; il dosaggio prescritto era doppio a quello previsto “per lo scopo” e ciò era solo “in parte giustificabile tenuto conto dei due stent coronarici del paziente”, venendo comunque aumentati “i profili di rischio”, con conseguente “necessità di una maggior attenzione del personale sanitario al momento della sedazione”; ai fini della “compatibilità del trattamento con seleparina, così come prescritta dalla struttura, rispetto all’esecuzione di un’anestesia subaracnoidea (quale quella in concreto eseguita)” rilevava la circostanza che il farmaco “doveva essere preso non oltre le 12 ore prima dell’intervento”; in base a “quanto contenuto nella cartella clinica del paziente,… il personale sanitario non aveva verificato, al momento dell’accettazione per l’intervento, il momento di ultima somministrazione del farmaco circostanza importante in situazioni normali, e a maggior ragione cruciale e determinante nella fattispecie, data la condizione del paziente e il doppio dosaggio prescritto; un “(t)ale omesso controllo costituiva colposo inadempimento, rispetto all’obbligo esigibile in capo ai sanitari, con le note gravi conseguenze; era, quindi, “rimproverato alla struttura ospedaliera… l’omesso controllo della quantità e del momento dell’assunzione del farmaco, come prescritto in sede di pre-ricovero e non la somministrazione diretta”; il danno subito dal paziente era, dunque, da reputarsi “prevenibile utilizzando sia i doverosi accorgimenti di dosaggio del farmaco ma, soprattutto, di tempistiche di somministrazione dello stesso. Condotte non solo omesse da parte della struttura ma facilmente controbilanciabili da soluzioni alternative praticabili senza particolari oneri“.
La Corte territoriale -secondo il Collegio- aveva dunque, correttamente svolto: “il giudizio controfattuale che ha portato all’accertamento della responsabilità civile attraverso un tipo di standard probatorio non di tipo quantitativo-statistico (probabilità statistica), ma di tipo qualitativo-logico (probabilità logica), ancorando cioè lo stesso alla luce delle specifiche risultanze probatorie emerse nel caso concreto (segnatamente, tramite l’espletata CTU). A tal riguardo, il giudice di appello ha individuato le condotte, omesse, che avrebbero dovuto essere tenute dai sanitari – ossia il controllo del dosaggio di seleparina e il momento dell’assunzione del farmaco – e ha ritenuto che le stesse condotte avrebbero potuto prevenire il danno subito dal paziente“