Il giudice di primo grado rifiutava di liquidare il danno morale per “carenza assertiva”, ritenendo che l’allegazione avrebbe dovuto consistere nella compiuta descrizione di tutte le sofferenze di cui si pretende la riparazione. Il ricorrente contestando tale assunto, rilevava comunque che il riconoscimento a suo favore del danno morale avrebbe invece dovuto essere operato a fronte delle lesioni subite, accertate dalla c.t.u. nella misura del 57% dell’integrità fisica, derivante prevalentemente dalla perdita dell’uso del braccio destro, essendo peraltro lui destrimano.
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 15 aprile 2025 n. 9840, rileva che fin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, l’attore – dopo aver dedotto di aver riportato lesioni gravissime (trauma cranico commotivo, distorsione cervicale, frattura della clavicola destra, lesione del plesso branchiale medio superiore accompagnata da paralisi dell’emidiaframma destro, frattura della terza costa di destra e frattura del femore destro), con necessità di lungo ricovero ospedaliero ed interventi chirurgici; e dopo aver dedotto che soltanto dopo un anno dal sinistro aveva conseguito la guarigione clinica con postumi permanenti in misura pari al 60/65%- aveva chiesto il risarcimento anche del danno non patrimoniale per il pregiudizio morale.
Il Collegio comunque precisa che “tale allegazione si completa con il rilievo che, in tema di danno morale, è del tutto legittimo il ricorso a massime di esperienza, per cui tanto più grave è la lesione della salute lamentata, tanto più il ragionamento inferenziale – in presenza di domanda risarcitoria dell’interessato (che, nel caso di specie, si ribadisce, vi è stata) – consente di presumere sufficientemente allegata l’esistenza di un correlato danno morale, inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall’aspetto dinamico relazionale conseguente alla lesione stessa“.