La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10515 emessa in data 22 aprile 2025, intende dare continuità all’indirizzo già espresso, in numerosi precedenti con riferimento alla responsabilità della Pubblica Amministrazione (v. Cass. n. 35020/2022; Cass. n. 35419/2022; Cass. n. 35872/2022; Cass. n. 36902/2022; Cass. n. 365/2023; Cass. 865/2024; Cass. n. 2551/2024; Cass. n.2553/2024; Cass. n.2555/2024; Cass. n. 2569/2024; Cass. n. 2571/2024; Cass. n. 2572/2024; Cass. n.4614/2024; Cass. n.4768/2024; Cass. n.4772/2024). Muovendo dai principi di diritto enunciati da Cass., Sez. Un., 16 maggio 2019, n. 13246, afferma infatti che “il comportamento della pubblica amministrazione che può dar luogo, in violazione dei criteri generali dell’art. 2043 cod. civ., al risarcimento del danno per il fatto penalmente illecito del dipendente, o si riconduce all’estrinsecazione del potere pubblicistico e cioè ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, oppure si riduce ad una mera attività materiale, disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali; nel primo caso (attività provvedimentale o, se si volesse generalizzare, istituzionale, in quanto estrinsecazione di pubblicistiche ed istituzionali potestà), l’immedesimazione organica di regola pienamente sussiste ed è allora ammessa la responsabilità diretta in forza della sicura imputazione della condotta all’ente; nel secondo caso (attività estranea a quella istituzionale o comunque materiale), ove pure vada esclusa l’operatività del criterio di imputazione pubblicistico fondato sull’attribuzione della condotta del funzionario o dipendente all’ente, opera (nei limiti indicati dalle Sezioni Unite, profilo qui non rilevante) il diverso criterio della responsabilità indiretta, per fatto del proprio dipendente o funzionario, in forza di principi corrispondenti a quelli elaborati per ogni privato preponente e desunti dall’art. 2049 cod. civ.“
Nel caso di specie, relativo alla tragedia di Sarno, la Corte di Cassazione nell’ambito del procedimento penale per omicidio colposo plurimo svoltosi nei confronti del Sindaco, aveva confermato positivamente l’imputazione sollevata nei confronti di questi, che: “non considerava la “mappa dei rischi” allegata al menzionato piano di protezione civile, nella quale quello derivante da alluvioni, frane e valanghe veniva ritenuto di “grado alto” e, quindi, degno della massima attenzione, con la indicazione degli adempimenti da attuarsi al verificarsi dell’emergenza; ometteva di dare tempestivamente il segnale di allarme alla popolazione, di disporre l’evacuazione delle persone residenti nelle zone a rischio, di convocare ed insediare tempestivamente il comitato locale per la protezione civile, di dare tempestivo e congruo allarme alla Prefettura di Salerno alla quale, anzi, fino alle ore 20,47, forniva notizie imprudentemente rassicuranti sull’emergenza in corso, suscettibili di non provocare l’adeguato allertamento degli organi competenti; forniva alla popolazione in pericolo notizie imprudentemente rassicuranti sulla emergenza in atto, diffondendo due appelli televisivi… , con i quali invitava i cittadini a restare nelle proprie abitazioni, facendo così ritenere che la situazione fosse sotto controllo ed inesistente il pericolo; inoltre, a fronte di una precisa richiesta di evacuazione dei plessi ospedalieri di Sarno, in pericolo, avanzata dall’Autorità sanitaria competente, rifiutava tale evacuazione assumendo la insussistenza di pericolo per la vita dei pazienti“;
Il Collegio rileva che: “l’attività colposa che viene in rilievo non è meramente materiale ed estranea ai compiti istituzionali, tale da essere legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri esercitati – alle condizioni indicate dalle Sezioni Unite -, ma è istituzionale nel senso di estrinsecazione di potestà pubblicistiche ed istituzionali; la circostanza che l’attività non sia per lo più collegata ad un formale provvedimento amministrativo ed integri piuttosto una condotta di tipo omissivo non muta i termini della questione poiché l’omessa adozione di un provvedimento amministrativo non costituisce mero comportamento materiale posto in essere nell’esplicazione del rapporto di servizio tra l’ente e un suo funzionario, ma illegittima condotta istituzionale rilevante nell’ambito del rapporto organico tra il Comune, la Presidenza, il Ministero ed uno degli organi a cui ne è affidata l’amministrazione attiva; né assume rilievo, in senso contrario, l’ulteriore circostanza che al Sindaco risultano imputate anche condotte di carattere commissivo, in relazione alle notizie imprudentemente rassicuranti fornite durante l’emergenza in corso; anche queste condotte, infatti, sono attività ricollegate al potere a lui spettante quale organo sia del Comune, sia della Presidenza, sia del Ministero; l’attribuzione del potere illegittimamente non esercitato è criterio di responsabilità dell’autorità rimasta inerte, per cui non esercitare il potere non è un contegno meramente materiale della persona fisica, ma azione amministrativa illegittima ove quel potere doveva essere esercitato; sia le attività omesse dal sindaco, sia le attività positive compiute con esternazioni verso la cittadinanza, pur non essendosi concretate nella formale adozione di provvedimenti – ma, rispettivamente, le prime, appunto nell’omessa adozione di questi, le seconde in attività comunque riconducibili alla attività istituzionale autoritativa del sindaco nella prevenzione delle calamità – sono espressione della pubblica funzione esercitata a mezzo di tale organo; le prime, in particolare, risultano certamente imputabili al rapporto organico sebbene come espressione di mancato esercizio di un potere, le seconde altrettanto certamente sono espressione di detto rapporto: i messaggi alla cittadinanza, pur non integrando tipica attività provvedimentale, tuttavia sono stati posti in essere dal sindaco, nell’esercizio, purtroppo malamente interpretato, dei poteri che nel suo ruolo di organo al tempo stesso di tre amministrazioni (Comune, Presidenza del Consiglio e Ministero dell’Interno) gli erano conferiti; discende da ciò che la responsabilità del Comune nel caso di specie ha carattere diretto ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., per cui non vi è ostacolo, anche secondo l’assunto del giudice di merito, all’esercizio dell’azione di regresso, ai sensi del secondo comma dell’art. 2055 cod. civ., da parte delle Amministrazioni statali ricorrenti (conformemente, peraltro, all’indirizzo di questa Corte: v. Cass. n. 856 del 1982, n. 17763 del 2005, n. 24802 del 2008, n. 24567 del 2017); deve dunque ribadirsi il principio di diritto già enunciato nei menzionati precedenti, secondo cui “sussiste la responsabilità diretta della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., per il fatto penalmente illecito commesso dalla persona fisica appartenente all’amministrazione, tale da far reputare sussistente l’immedesimazione organica con quest’ultima, non solo in presenza di formale provvedimento amministrativo, ma anche quando sia stato illegittimamente omesso l’esercizio del potere autoritativo“