La Corte di Cassazione, con la sentenza emessa in data 29 aprile 2025 n. 11319, interviene a sorpresa, soffiando sul fuoco di una polemica che pareva avviata a trovare una piana soluzione nel chiaro dettato della Legge. Ed infatti precisa, pur non essendone necessario per l’economia della decisione , che: “mette conto avvertire che, quanto ai valori da porre a base del calcolo a punto, il giudice di rinvio resta vincolato all’applicazione delle Tabelle di Milano nella versione più aggiornata. Per effetto del giudicato interno sul punto formatosi in mancanza di impugnazione incidentale, la Corte territoriale non potrebbe infatti comunque fare applicazione della Tabella approvata con D.P.R. 13 gennaio 2025, n. 12 (“Regolamento recante la tabella unica del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità tra dieci e cento punti, comprensivo dei coefficienti di variazione corrispondenti all’età del soggetto leso, ai sensi dell’articolo 138, comma 1, lettera b), del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209”), pubblicato nella Gazz. Uff. n. 40 del 18 febbraio 2025 ed entrato in vigore il 5 marzo 2025, applicazione cui – può incidentalmente notarsi – non sarebbero altrimenti d’ostacolo né il riferimento ai soli danni derivanti da sinistri stradali, né la previsione contenuta nell’articolo 5 del citato D.P.R. circa l’applicabilità delle disposizioni “ai sinistri verificatisi successivamente alla data della sua entrata in vigore”, valendo entrambi ad escludere solo un’applicazione diretta delle dette tabelle ma non anche un loro utilizzo indiretto quale parametro di riferimento nella ricerca di valori il più possibile idonei ad assicurare quella uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi che costituisce indispensabile declinazione della regola equitativa di cui all’art. 1226 cod. civ. (Cass. n. 12408 del 07/06/2011)“.
Nonostante quindi l’art. 5 del D.P.R. n. 12/25 abbia categoricamente escluso l’applicazione della TUN ai sinistri verificatisi prima della sua promulgazione, la Corte di Cassazione pare suggerire una sua applicazione indiretta, considerando i valori in essa contenuti come espressione di equità in sostituzione di quella che fino ad oggi era stata veicolata (e formalmente riconosciuta tale) dalla tabella milanese. Intervento che potrebbe aprire (e certamente non se ne sentiva veramente il bisogno) un ampio contenzioso, difficilmente gestibile, proprio in ordine alla tabella da applicare ai casi precedenti, che avrebbero dovuto essere pacificamente gestiti con la valutazione. Quale il motivo di tale urgenza? Quale la ragione di scompaginare un aspetto che poteva essere gestito nel rassicurante e certo trascorrere del tempo?
La soluzione proposta dalla Corte di Cassazione è sicuramente “furba“, portando ad un’applicazione immediata del dettato della Legge, in evidente contrasto con la chiara lettera della stessa, possibile perché viene aggirata la norma temporale con il sotterfugio dell’equità. E’ certo però che tale “trovata” non si concilia con il rispetto della Legge che dovrebbe sovrintendere ad ogni decisione dell’Organo che in primo luogo è chiamato a garantire proprio la nomofilachia. Ma con questa “uscita“, la Corte di Cassazione contraddice platealmente anche se stessa e quanto ha espresso negli anni precedenti. Non convince poi l’abbandono, troppo tumultuoso per non suscitare qualche perplessità, del concetto, dalla stessa Suprema Corte più volte affermato, per il quale proprio la tabella di Milano rappresenta l’espressione più ragionata dell’equità (in quanto espressione della costante stratificazione dell’esperienza giurisprudenziale). Abbandono peraltro operato a favore di unanorma che si contraddistingue, per la selezione dei valori, proprio per l’opacità dei riferimenti utilizzati (aspetto non a caso stigmatizzato dal Consiglio di Stato). Certo ciò non è sufficiente per giustificare la mancata applicazione della TUN nei termini indicati, ma solo ed esclusivamente per la sua forza normativa. Ma pone seri e fondati dubbi che un giudice possa ritenere la Tabella Unica Nazionale tout court espressione pacifica dell’equità, così da consentirne la creativa sua applicazione indiretta ante litteram. E ciò contrasta anche con il pacifico orientamento della stessa Corte di Cassazione che ha elevato addirittura a motivo formale di illegittimità della decisione, la semplice non applicazione della tabella di Milano, in assenza cioè di una ragionata motivazione. Sarà così del tutto insufficiente che il giudice di merito, per anticipare l’applicazione della TUN, affermi che si tratti di una tabella normativa ed è per questo espressione di equità, dovendo specificare, caso per caso, per quale ragione la TUN assicuri di più e meglio il principio dell’integralità del risarcimento rispetto alla tabella di Milano.
Forse inconsapevolmente la Corte di Cassazione ha fornito solo un formidabile assist alle compagnie di assicurazioni, che, soprattutto in fase stragiudiziale e quando sarà per loro conveniente (leggasi riduzione del risarcimento), pretenderanno, proprio sulla base di tale decisione, l’applicazione della TUN. Ed è questo l’aspetto più sorprendente della decisione di una Corte che invece si è sempre contraddistinta per il rigore nella tutale della vittima.
Ma anche questo è un segno dei nuovi tempi.