La Corte di Cassazione, con la recente sentenza del 6 maggio 2025 n. 11887, conferma (per l’ennesima volta) il principio secondo il quale: “la morte di una persona causata da un illecito fa presumere da sola, ex art. 2727 cod. civ., una conseguente sofferenza morale in capo, oltre che ai membri della famiglia nucleare “successiva” (coniuge e figli della vittima), anche ai membri della famiglia “originaria” (genitori e fratelli), a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur); in tali casi, grava sul convenuto l’onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo (Cass. 15/02/2018, n.3767; Cass.15/07/2022, n. 22397; v. anche Cass. 30/08/2022, n.25541 e, già, Cass. 16/03/2012, n.4253). Portando alle sue ulteriori specificazioni l’illustrato principio, avuto riguardo ai due distinti profili delle possibili conseguenze non patrimoniali risarcibili della lesione di interessi costituzionalmente protetti (Cass. 17/01/2018, n. 901) – è stato osservato che la presunzione iuris tantum (che onera il convenuto della prova contraria dell’indifferenza affettiva o, persino, dell’odio) concerne l’aspetto interiore del danno risarcibile (c.d. sofferenza morale) derivante dalla perdita del rapporto parentale, mentre non si estende all’aspetto esteriore (c.d. danno dinamico-relazionale), sulla cui liquidazione incide la dimostrazione dell’effettività, della consistenza e dell’intensità della relazione affettiva (desumibili, oltre che dall’eventuale convivenza – o, all’opposto, dalla distanza –, da qualsiasi allegazione, comunque provata, del danneggiato), delle quali il giudice del merito deve tenere conto ai fini della quantificazione complessiva (Cass. 04/03/2024, n.5769)“.
Di questi principi la Corte di merito, confermando il giudizio del Tribunale, ha fatto corretta applicazione, riconoscendo: “il danno da perdita del rapporto parentale anche alle sorelle della defunta (in quanto componenti della famiglia “originaria”) ma differenziandolo in minus rispetto agli altri congiunti, avuto riguardo anche alla situazione di non convivenza; del pari corretta, sia in relazione all’an che in relazione al quomodo appare la scelta di utilizzare le tabelle romane, scelta in linea anche con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità che prescrive l’utilizzazione di una tabella basata sul sistema a punti, in modo da tenere conto delle diverse situazioni personali della vittima e del superstite, nonché del rapporto tra loro intercorrente (Cass. 21/04/2021, n.10579; Cass.29/09/2021, n. 26300). L’azienda convenuta, onerata di fornire la prova della eventuale distanza affettiva tra i congiunti in funzione di vincere la presunzione in ordine alla sofferenza dei superstiti per la perdita della vittima dell’illecito, non ha assolto tale onere, limitandosi a recriminare per essere stato liquidato l’eguale importo a tutte le sorelle, senza fornire alcun elemento per indurre il giudice ad una scelta diversa, stante la condivisione, tra tutte le interventrici, del medesimo grado di parentela e della situazione di non convivenza“