Il ricorrente si doleva dell’asserita omessa pronuncia, da parte della Corte di merito, sulla domanda volta all’accertamento e alla conseguenziale liquidazione del “danno morale riflesso“”, in luogo del quale era stato liquidato il non richiesto “danno parentale“.
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 29 maggio 2025 n. 14338, osserva invece che il Giudice di merito ha in realtà provveduto alla liquidazione di una somma di denaro per ristorare la sofferenza morale soggettiva. Ciò si apprende dal passaggio argomentativo in cui la Corte territoriale, confermando la liquidazione di questa voce di danno ad opera dal giudice di primo grado, ha affermato che: “trova conferma la quantificazione operata dal Tribunale, e per le motivazioni evidenziate, ovvero la particolare sofferenza degli stretti congiunti, nel nostro caso madre e figlia, nel vedere ed assistere quotidianamente il padre e marito ridotto in stato vegetativo, in condizioni tali da azzerare ogni relazione e rapporto affettivo, sicché è ragionevole la conferma del massimo del range tabellare milanese adottato in ordine al danno da perdita del rapporto familiare“.
Il motivo dunque è infondato per l’erroneità del presupposto da cui muove, ed invero: “il danno parentale non rappresenta un aliud rispetto alle sofferenze soggettive connesse alle preoccupanti condizioni di salute del congiunto, nel caso di specie del padre e marito ridotto in stato vegetativo a seguito dell’intervento chirurgico. Diversamente, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, il danno da lesione del rapporto parentale tiene conto dei diversi aspetti della sfera a-patrimoniale dei congiunti superstiti, attraendo nella propria orbita le tipologie di pregiudizi che rispetto ad essi possono derivare dall’illecito. In questi termini, l’area della risarcibilità di questa voce di danno non si arresta ai pregiudizi dinamico-relazionali, ma si estende altresì alla sofferenza interiore. I vulnera non patrimoniali del rapporto parentale si uniscono e convergono, infatti, in un’unica categoria di danno – quello, per l’appunto, da lesione del rapporto parentale – che viene valutata in modo integrato, considerando tutti gli effetti pregiudizievoli a livello morale e relazionale in cui l’evento lesivo può ridondare (tra le altre: Cass. n. 28989/2019; Cass. n. 9857/2022; Cass. n. 23300/2024). In siffatta prospettiva, non si può obiettare che il risarcimento per questa specifica voce di danno sia stato richiesto in un procedimento separato, poiché il danno derivante da lesione del rapporto parentale è da considerare unitario e non frazionabile. L’integrazione dei vari aspetti (relazionali/interiori) che derivano dalla compromissione del legame affettivo in un’unitaria voce di danno non giustifica, quindi, la sua frantumazione processuale, tale che la risarcibilità di uno degli anzidetti aspetti si venga a scorporare come una voce di danno separata e a trattare in un distinto giudizio“.