La Corte di Cassazione, con la sentenza del 10 giugno 2025 n.15447, rammenta (cfr. Cass. n. 22437/2018) che il “superamento di un giudizio improntato alla logica propria della “meritevolezza”, siccome ancorata al presupposto della atipicità contrattuale (art. 1322, secondo comma, c.c.)” a favore di una valutazione che accerti la causa in concreto del negozio ” non prescinde, però, dalla stessa tensione ispiratrice dello scrutinio di meritevolezza di cui al capoverso del citato art. 1322 c.c. e che guarda […] alla complessità dell’ordinamento giuridico, da assumersi attraverso lo spettro delle norme costituzionali, in sinergia con quelle sovranazionali (nel loro porsi come vincolo cogente: art. 117, primo comma, Cost.) e segnatamente delle Carte dei diritti, le quali norme non imprimono all’autonomia privata una specifica ed estraniante funzionalizzazione, bensì ne favoriscono l’esercizio, ma non già in conflitto con la dignità della persona e l’utilità sociale (art. 2 e 41 Cost.), operando, dunque, in una prospettiva promozionale e di tutela” sul solco già tracciato da Cass., Sez. Un., n. 9140/2016 “che, sebbene proprio nell’ottica del giudizio di meritevolezza dell’esercizio dell’autonomia privata, ha, comunque, messo in risalto varie criticità – come l‘asimmetria della posizione delle parti ovvero, per certi rapporti, l’operatività di un meccanismo penalizzante all’esordio e allo scadere della garanzia contrattuale, tale da determinare “buchi di copertura” assicurativa -, le quali non evaporano per il solo fatto che quel giudizio più non si imponga come tale“.
La Corte d’Appello aveva attribuito rilievo proprio al rischio dell’azienda sanitaria assicurata di subire una scopertura “per eventi dannosi verificatisi per eventi dannosi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto“, allo squilibrio sinallagmatico, in quanto la clausola “a fronte della previsione di un cospicuo premo assicurativo annuo di € 1.639.000 consente all’impresa di assicurazione la facoltà di recedere ex art. 8 dopo ogni sinistro“, all’irrilevanza della garanzia pregressa limitata ai sette anni anteriori alla data di decorrenza contrattuale. Ciò dimostra che ha vagliato l’adeguatezza del contratto rispetto agli interessi in concreto avuti di mira dai paciscenti, cioè rispetto alla causa concreta del contratto, vale a dire “quella che ne rappresenta lo scopo pratico, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso negozio è concretamente diretto a realizzare, quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato” (Cass. 8/05/2006, n. 10490).
Detta valutazione nondimeno è avvenuta utilizzando parametri che la giurisprudenza di questa Corte non ritiene indicativi della presenza di una clausola nulla. Lo squilibrio sinallagmatico è stato ravvisato sussistente in presenza di una clausola claims made impura; infatti, l’art. 26 delle condizioni generali di contratto estendeva la garanzia al rischio pregresso, cioè era destinata a operare con riferimento a comportamenti dell’assicurato antecedenti alla data della stipulazione del contratto purché le richiese risarcitorie fossero state formulate nei tre anni di vigenza della polizza; il che non implicava di per sé una mancanza di corrispettività tra premio e diritto all’indennizzo. A ciò aggiungasi che la Corte d’Appello ha basato il suo convincimento essenzialmente sulla mancata previsione di una c.d. sunset clause. Detta assenza però – come questa Corte ha avuto occasione di affermare (v. Cass. 12/03/2024, n. 6490) – non rende di per sé nullo il contratto per difetto di causa concreta.
La Corte di Cassazione rileva che tali argomentazioni: “sono desunte da alcune pronunce di questa Corte (Cass. 28/04/2017, n. 10506; Cass. 28/04/2017, n. 10509) che hanno ritenuto che l’assenza di una clausola di ultrattività: i) ridurrebbe “il periodo effettivo di copertura assicurativa, dal quale resteranno verosimilmente esclusi tutti i danni causati dall’assicurato nella prossimità della scadenza del contratto. È infatti praticamente impossibile che la vittima d’un danno abbia la prontezza e il cinismo di chiederne il risarcimento illico et immediate al responsabile. Ciò determina uno iato tra il tempo per il quale è stipulata l’assicurazione (e verosimilmente pagato il premio), e il tempo nel quale può avverarsi il rischio”, in considerazione del fatto che “nell’assicurazione della responsabilità civile sanitaria è ovviamente possibile che l’assicurato causi danni a terzi anche negli ultimi mesi, o giorni, od ore precedenti la scadenza del contratto. Questo iato temporale, è inconciliabile con il tipo di responsabilità professionale cui può andare incontro il medico, la cui opera può talora produrre effetti dannosi a decorso occulto, che si manifestano a distanza anche di molto tempo dal momento in cui venne tenuta la condotta colposa fonte di danno”; ii) porrebbe “l’assicurato in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra parte. La clausola claims made, infatti, fa dipendere la prestazione dell’assicuratore della responsabilità civile non solo da un evento futuro ed incerto ascrivibile a colpa dell’assicurato, ma altresì da un ulteriore evento futuro ed incerto dipendente dalla volontà del terzo danneggiato: la richiesta di risarcimento. L’avveramento di tale condizione, tuttavia, esula del tutto dalla sfera di dominio, dalla volontà e dall’organizzazione dell’assicurato, che non ha su essa ha alcun potere di controllo”; iii) costringerebbe l’assicurato a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti. La clausola in esame infatti, elevando la richiesta del terzo a “”condizione” per il pagamento dell’indennizzo, legittima l’assicuratore a sottrarsi alle proprie obbligazioni ove quella richiesta sia mancata: con la conseguenza che se l’assicurato adempia spontaneamente la propria obbligazione risarcitoria prima ancora che il terzo glielo richieda (come correttezza e buona fede gli imporrebbero), l’assicuratore potrebbe rifiutare l’indennizzo assumendo che mai nessuna richiesta del terzo è stata rivolta all’assicurato, sicché è mancata la condicio iuris cui il contratto subordina la prestazione dell’assicuratore“.
Rileva tuttavia che: “tali prese di posizione sono state duramente criticate dalla dottrina che le ha ritenute contrastanti con la pronuncia delle Sezioni Unite di appena un anno prima (Cass., Sez. Un., 6/06/2016, n. 9140), la quale aveva ritenuto necessario un accertamento caso per caso e non sanzionabile con una declaratoria di indifferenziata immeritevolezza la clausola claims made che non contemplasse anche una garanzia postuma, ossia una previsione che garantisse l’assicurato anche per le denunce pervenute per un più o meno ampio periodo successivo alla scadenza del contratto, e tale da rinnegare l’utilità del ricorso alla clausola claims made, perché l’assicuratore si troverebbe esposto ad una obbligazione di garanzia ben più ampia di quella prevista dal comma 1 comma dell’art. 1917 cod. civ., e sono state superata dalla giurisprudenza successiva – v. Cass., Sez. Un., n. 22437/2018 – che ha escluso che la mera mancata previsione di una sunset clause porti alla nullità per difetto di causa concreta. In particolare, ha sottolineato, ai fini che qui interessano, che la stessa legislazione di settore presenta “multiformi calibrature, modellando l’assicurazione “claims made” secondo varianti peculiari (ad es., la deeming clause e/o la sunset clause) anche tra loro interagenti, così da mostrare una significativa elasticità di adattamento rispetto alla concretezza degli interessi da soddisfare. sillogismo che connette atipicità della clausola claims made “pura” e sua validazione ordinamentale, senza scendere nel concreto della peculiare vicenda contrattuale dedotta in giudizio” e confermato l’impianto della precedente pronuncia n. 9140/2016, recuperando le argomentazioni ivi svolte, sebbene nell’ottica superata del giudizio di meritevolezza dell’esercizio dell’autonomia privata, “le quali non evaporano per il solo fatto che quel giudizio più non si imponga come tale”” (par. 17). La ricorrente coglie nel segno anche quando lamenta la prevaricazione dell’autonomia negoziale, per avere il giudice a quo sostituito il contratto voluto dalle parti con un contratto tipico assicurativo della responsabilità civile, sul modello on loss occurrence basis. Il giudice che rilevi la nullità della clausola “claims made”, ovvero quella per la quale l’assicuratore è obbligato all’indennizzo solo per i danni il cui risarcimento sia chiesto durante il periodo di vigenza della polizza e per i quali l’assicurato faccia richiesta, poiché squilibrata in favore dell’assicuratore, non può trasformarla nella diversa clausola “loss occurence” , ovvero quella tradizionale. In tal caso, infatti, il giudice deve procedere alla integrazione del contratto seguendo il meccanismo previsto dall’articolo 1419 cod. civ., vale a dire riportandolo in equilibrio “secondo ciò che le parti contraenti avevano effettivamente voluto” (v. Cass. 25/02/2021, n. 5259)“.