Il PM chiede l’archiviazione: il dolore della madre è già una pena

studio legale palisi risarcimento

La madre aveva investito involontariamente il figlio di 18 mesi procurandogli gravi lesioni. Il PM ha chiesto l’archiviazione, sostenendo che “una eventuale condanna o lo svolgimento di un processo a carico dell’indagata costituirebbe una sorta di trattamento contrario al senso di umanità (art. 27 comma 3 Cost.)“. Come si legge nell’articolo a firma di Simona Musco apparso sul quotidiano il Dubbio, il PM ha spiegato che:

Tre le vie teoricamente percorribili: il patteggiamento, l’applicazione dell’articolo 131-bis c.p. sulla particolare tenuità del fatto, nonostante la gravità dell’evento lesivo e la questione di legittimità costituzionale, e l’incidente costituzionale. La prima opzione, afferma Storari, «non terrebbe nel minimo conto la situazione che si trova a vivere l’indagata, nei cui confronti l’ordinamento reagirebbe senza alcuna ragione o necessità e solo per riaffermare una norma di divieto di fatto strumentalizzando l’indagata». Nel secondo caso, si tratterebbe di comprendere se nell’ordinamento «esistano valvole di sfogo» che consentono «di escludere la punibilità (e anche “la pena del processo”)», usando il diritto come «strumento per arrivare alla soluzione più giusta, in un’ottica di umanità del punire che avvicina le norme alle persone (e non viceversa)». Infine, si potrebbe sollevare questione di legittimità costituzionale degli articoli 582, 583 comma 2 n. 1 c.p. nella parte in cui punisce le lesioni personali gravissime cagionate per colpa incosciente dalla madre al figlio, per contrasto con l’articolo 27 comma 3 Costituzione nella parte cui vieta pene inumane. Storari sceglie, dunque, la via dell’archiviazione: «In questi casi, soppesando il grado di colpevolezza, la gravità delle conseguenze e la finalità della pena, si impone immediatamente la conclusione che una reazione penalistica non serve a nulla, anzi appare addirittura controproducente, non avendo il diritto penale alcuna funzione da svolgere, né per il reo né per la collettività». Per il pm, una condanna o un processo «costituirebbe una sorta di trattamento contrario al senso di umanità». Anche perché il comma 3 dell’articolo 27 della Costituzione stabilisce che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità». Un principio condiviso anche dalla Cedu e fondamentale affinché «un ordinamento punitivo possa dirsi “civile”». Un principio la cui portata può spingersi oltre, «rendendo plausibile e giustificabile la scelta di non irrogare la pena in casi nei quali il soggetto, nella vicenda concreta, abbia già subito una sorta di cosiddetta poena naturalis, ossia una grave conseguenza afflittiva che, di fatto, renderebbe l’ulteriore sanzione non solo sproporzionata per eccesso, ma persino inumana». Storari richiama nella sua richiesta quanto scritto dal professore avvocato Vittorio Manes nel libro “Introduzione ai principi costituzionali in materia penale”, sottolineando che il diritto penale, in questi casi, deve farsi carico della complessità del dolore umano, evitando di replicare «alla brutalità con la brutalità, alla violenza con la violenza, alla crudeltà con la crudeltà, e così stabilendo una differenza fondamentale che separa la pena dalla cieca vendetta”. Come dice Manes, «mentre nel medioevo si consentivano, al cospetto di crimini atroci, eccezioni e deroghe ai principi ed alle regole ordinari (in base al già citato principio in atrocissimis licet iura transgredi), nessuna eccezione può ammettersi oggi al cospetto della assoluta inviolabilità dell’articolo 27, comma 3, prima parte, Costituzione, e lo Stato deve sempre rispettare il canone di umanità del castigo, dalla fase della previsione della sanzione, al momento della sua commisurazione concreta, sino alla fase esecutiva della pena carceraria, quando il detenuto è “affidato” alla custodia statale». Storari ha dunque chiesto al gip di escludere «la punibilità del fatto ascritto all’indagata ai sensi dell’art. 131 bis c.p.» e, in subordine, propone di sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme che puniscono anche questi casi, per possibile violazione dell’articolo 27 della Costituzione nella parte che vieta “pene inumane

Al di là della questione più specificamente penalistica, rimane incontestabile il riconoscimento del dolore immane subito dalla madre di una vittima “una sorta di cosiddetta poena naturalis, ossia una grave conseguenza afflittiva“. Se un Pubblico Ministero, chiamato ad esercitare l’azione penale, comprende così chiaramente tale dolore, perché tanta difficoltà da parte delle compagnie di assicurazioni?

Condividi:

Altri Articoli

Compila il form per maggiori informazioni

Avvocato Massimo Palisi - Padova

Nato a Catanzaro in data 24 aprile 1969, consegue la maturità classica (voto 60/60) e la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Padova (voto 105/110). Viene eletto per il biennio 1992/94 Segretario Nazionale della Fuci (Federazione Universitaria Cattolici Italiani).

Avvocato dal 1999, Cassazionista dal 2016, svolge la propria attività a livello nazionale, operando nell’ambito del diritto sostanziale e processuale civile, con particolare elezione per le tematiche relative alla responsabilità civile (sia in ambito contrattuale che extracontrattuale), alla tutela della persona e dei consumatori in generale (e sotto il profilo risarcitorio in particolare), al diritto del lavoro, al diritto delle assicurazione. Svolge inoltre assistenza a favore delle vittime nell’ambito delle procedure penali.

Ha deciso di non essere fiduciario di alcuna compagnia di assicurazione e/o banche, per non intaccare la propria opera di tutela nei confronti dei danneggiati e dei consumatori.

Ha collaborato, nel primo decennio del 2000, con Cittadinanzattiva Onlus, risultando membro: a) del gruppo studio “Assicurazioni ” del CNCU, istituito presso il Ministero delle Attività Produttive; b) del collegio del Nord Italia dei conciliatori istituito presso il gruppo Banca Intesa, c) del gruppo di studio istituito presso l’ANIA per l’emanazione del nuovo Codice delle Assicurazioni. Ha svolto corsi seminariali in tema assicurativo a livello nazionale, promossi e patrocinati dal Ministero delle Attività Produttive.

È stato relatore in diversi convegni giuridici di carattere nazionale.

Avvocato Evenlina Piraino - Padova

Nata a Cosenza in data 29 settembre 1981, consegue il diploma di maturità al liceo scientifico (voto 100/100) e si laurea nel 2006, presso l’Università di Cosenza (UNICAL), in giurisprudenza (voto 108/110) discutendo una tesi nell’ambito del diritto del lavoro (“Il nuovo sistema di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: Decreto Legislativo n. 38/2000′) e del diritto assicurativo (“Il sistema assicurativo sociale in ambito europeo”).

È avvocato dal 2009; fa parte dello studio dal 2013. Si occupa prevalentemente di diritto civile, sostanziale e processuale, diritto del lavoro, diritto di famiglia, procedure stragiudiziali e di mediazione. Nell’ambito della materia di elezione dello studio legale, si interessa in particolare degli istituti di responsabilità civile speciale, di quello di natura professionale, oltre alla tutela degli animali e dell’ambiente, a vantaggio del quale svolge anche attività di volontariato sociale.

È attiva nell’ambito del diritto di famiglia e della tutela dei minori, nonché della tutela dei diritti della persona in generale, dei consumatori e della proprietà intellettuale.

CONTATTACI

oppure chiama