La Corte di Cassazione (sentenza 26 giugno 2025 n.17208) ribadisce che la censura, relativa all’erronea applicazione di una tabella (nel caso di specie la tabella a forchetta al posto di tabella a punti), deve essere necessariamente accompagnata anche dall’onere di prospettare concretamente il differente risarcimento (più vantaggioso), derivante dall’applicazione del metodo di liquidazione corretto.
Ed invero i ricorrenti avevano censurato la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente liquidato il danno per la perdita del rapporto parentale sofferto dagli odierni istanti sulla base delle tabelle elaborate presso il Tribunale di Milano (concepito secondo un sistema c.d. “a forbice”) in luogo del sistema “a punti” elaborato dal Tribunale di Roma; sistema “a punti” da ritenere l’unico correttamente utilizzabile a tal fine dalla stessa giurisprudenza di legittimità, con la conseguente erronea liquidazione, da parte della corte territoriale, di importi risarcitori illegittimamente sottostimati in favore dei germani e degli aventi causa di Ga.Ca., anche in relazione alla valorizzazione di circostanze di fatto (con particolare riguardo alla dimensione dell’intensità affettiva del rapporto tra la vittima e i suoi familiari di origine e alla mancanza di alcuna corresponsabilità della vittima della causazione del sinistro) del tutto erroneamente ricostruite.
La Corte di Cassazione ritiene il motivo è inammissibile. Ed invero osserva preliminarmente il collegio come: “gli odierni istanti abbiano del tutto trascurato di assolvere all’onere (destinato ad assumere un carattere determinante in relazione alla censura in esame) avente ad oggetto lo sviluppo di un calcolo analitico del presumibile risarcimento agli stessi spettante; in particolare, i ricorrenti hanno omesso di dimostrare concretamente, sulla base di un calcolo fondato sulle rivendicate tabelle “a punti”, che, con l’applicazione di tali ultime tabelle, si sarebbe pervenuti alla liquidazione di un importo risarcitorio maggiore di quello liquidato dal giudice d’appello, limitandosi unicamente a ipotizzare, in termini inammissibilmente generici, che, attraverso l’accoglimento delle critiche qui proposte, la Corte d’Appello non avrebbe proceduto alla riduzione degli importi risarcitori liquidati in maggior misura dal giudice di primo grado“.
Trattandosi di principio da tempo affermato dalla Corte di Cassazione, evidente la responsabilità professionale del procuratore dei ricorrenti.